Un deserto che prende vita: dal Perù nuove conoscenze sugli antichi ecosistemi oceanici
Dalle rocce sedimentarie che compongono il deserto di Ica affiorano fossili di vertebrati marini che svelano i segreti dell’evoluzione degli antichi sistemi oceanici. Succede in Perù, grazie alle campagne di scavi intraprese dal 2006 da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Pisa, che nel corso degli anni sono riuscite a riportare alla luce sull’altopiano di Pisco, lungo la costa meridionale del Paese, uno straordinario numero di fossili, tra cui il Leviatano, parente dell’attuale capodoglio ritrovato ormai alcuni fa. Il cuore di quello che possiamo definire il “laboratorio dell’evoluzione in ambiente marino” è il sito di Cerro Colorado dove, in un’area pari di circa 12 chilometri quadrati (più o meno coincidente con quella della città di Pisa), sono stati censiti 318 fossili di vertebrati marini risalenti a circa 10 milioni di anni fa.
Stavolta a dare informazioni sull’evoluzione della vita negli oceani sono stati i cetoteridi (una famiglia estinta di balene di piccola taglia) e gli zifidi (cetacei ancora oggi rappresentati, ma poco conosciuti per via delle loro abitudini di profondità). Le ultime campagne di scavo hanno gettato nuova luce sulle consuetudini alimentari di queste forme di cetacei 'primitivi': “Nella primavera dello scorso anno, durante lo scavo di uno scheletro quasi completo di cetoteride, ossa e scaglie di sardina sono stati rivenuti in corrispondenza della cassa toracica – racconta Alberto Collareta, dottorando dell’Università di Pisa che con i suoi studi sta cercando di ricostruire la struttura ecologica della fauna fossile della Formazione Pisco – Tali resti sono stati interpretati come il contenuto stomacale fossilizzato della balena. Sulla base di questo ritrovamento si ipotizza che il cetoteride di Cerro Colorado fosse un piscivoro che si alimentava “a boccate”, una strategia trofica che caratterizza tutte le balene che oggi si nutrono di pesci”. Lo studio del contenuto stomacale, un oggetto molto fragile e dalla complessa architettura tridimensionale, è stato possibile grazie all'applicazione di metodologie di imaging per tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione (micro-CT) in collaborazione con i ricercatori dell'U.O. Radiodiagnostica 3 e dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.
“A settembre 2014 è stato poi il turno dello zifide – aggiunge Collareta – La scoperta di un gran numero di scheletri parziali di sardina associati a uno scheletro di zifide è stato interpretato come evidenza di interazione trofica tra il cetaceo (il predatore) e i pesci (le prede). Questo record fossile supporta l'ipotesi che le abitudini abissali e la dieta a base di molluschi cefalopodi caratterizzino solo gli zifidi “moderni”, mentre l'estinzione delle forme più primitive potrebbe coincidere con la radiazione dei delfini, che ne avrebbero occupato la nicchia ecologica da predatori superficiali”.
Infine, entrambi i ritrovamenti indicano che, come anche oggi accade, le coste del Perù vedessero la presenza di ingenti banche di sardine che attiravano una grande diversità di vertebrati predatori. Questi due studi sono stati pubblicati in due articoli gemelli recentemente pubblicati su “The Science of Nature” e sui “Proceedings B of the Royal Society of London”. “Zifidi e cetoteridi costituiscono componenti importanti delle associazioni fossili a vertebrati marini del Miocene superiore (circa 12-5 milioni di anni fa) e dunque rappresentano tappe fondamentali nell’evoluzione dei cetacei e più in generale nella strutturazione dei moderni ecosistemi marini – conclude Collareta – Tuttavia, prima delle nostre ricerche nel deserto del Perù non avevamo nessuna testimonianza diretta del loro ruolo ecologico”.
“Questi risultati – commenta Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, veterano del deserto del Perù e coordinatore di un progetto PRIN e di un National Geographic Grant – sono frutto del costante e meticoloso lavoro di campagna effettuato negli ultimi anni, che ha visto sul terreno un gruppo costituito da paleontologi dei vertebrati, micropaleontologi, geologi e vulcanologi. Tale impegno, che continua tuttora, è possibile grazie a progetti che coinvolgono scienziati delle università di Pisa, Camerino e Milano Bicocca e diverse istituzioni straniere. Grazie a questo genere di finanziamenti, giovani ricercatori italiani - laureandi e dottorandi - hanno avuto la possibilità di affrontare le grandi questioni dell'evoluzione oceanografica e biologica dell'ambiente marino in una delle aree più significative a livello mondiale, confrontandosi sul campo con scienziati provenienti da tutto il mondo. Un’esperienza - conclude Bianucci - che dimostra l'importanza, anche nell'ambito delle geoscienze, di un approccio multidisciplinare e integrato per raggiungere grandi risultati”.
Il know-how tecnologico dell’Ateneo per il people mover di Pisa e Miami
C’è anche un po’ di Università di Pisa nel futuro people mover di Pisa così come in quello già realizzato a Miami, negli Stati Uniti. Il dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Ateneo ha infatti collaborato con LEITNER, azienda leader nel settore, per realizzare l’innovativo carrello “bogie” su cui poggeranno le cabine.
“Il gruppo da me coordinato – ha spiegato il professore Francesco Frendo dell’Università di Pisa – del quale fa parte anche l'ingegnere Francesco Bucchi, assegnista di ricerca presso il nostro Ateneo, ha lavorato in stretta collaborazione con LEITNER alla simulazione della dinamica del mezzo di trasporto a fune, finalizzata al progetto del carrello e all’ottimizzazione del sistema di sospensioni, con particolare attenzione al comfort dei passeggeri”.
Nell'ambito del contratto di ricerca stipulato con l'azienda, il team di ingegneri dell’Università di Pisa ha anche contribuito al progetto di un analogo carrello ‘‘bogie’’ di un people mover recentemente installato presso l'aeroporto di Miami.
La presentazione del carrello “bogie” destinato al people mover pisano si è svolta a novembre scorso a Vipiteno, in provincia di Bolzano, nella sede della LEITNER alla presenza, fra gli altri, di alcuni componenti della commissione di sicurezza del Ministero dei Trasporti, di Alessandro Fiorindi, responsabile del progetto e amministratore unico della società Pisamo committente dell’opera, e di Angela Nobile, responsabile del progetto su nomina dell’amministrazione comunale.
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Foto: fonte LEITNER
Antropologia della cultura materiale
Fabio Dei insegna Antropologia culturale al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e si occupa prevalentemente di epistemologia delle scienze sociali e di temi della cultura popolare e di massa nell’Italia contemporanea. Insieme a Pietro Meloni, professore di Antropologia dei media all’Università di Milano Bicocca, ha appena pubblicato il volume “Antropologia della cultura materiale” (Carocci, 2015) che qui presenta con una breve introduzione.
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Nella tradizione dell’antropologia e delle scienze sociali vi sono due modi di studiare la cultura. Uno consiste nella osservazione (per quanto possibile “partecipante”) del comportamento sociale, delle azioni e dei discorsi delle persone, delle istituzioni che le regolano. L’altro è l’analisi degli oggetti nei quali gli aspetti immateriali della cultura (i suoi valori, saperi, codici, strutture) sono incorporati e assumono forma visibile e durevole. Questa è appunto la “cultura materiale”.
Gli studi in questo campo si sono concentrati nel corso del Novecento sugli oggetti unici e autentici caratteristici delle culture “primitive”, esotiche e popolari: ad esempio i prodotti dell’arte e dell’artigianato nativo, gli attrezzi del lavoro contadino tradizionale, e tutte le altre cose costruite manualmente per mezzo di saperi tramandati di generazione in generazione. Oggetti di questo tipo hanno riempito i musei etnografici e hanno spesso affascinato le stesse avanguardie artistiche e scientifiche dell’Occidente (si pensi all’importanza delle maschere africane per Picasso o a quella dei feticci per Freud). Al contrario, l’antropologia ha dedicato scarso interesse agli oggetti che popolano la vita quotidiana nei contesti sociali moderni: cose prodotte in modo industriale e seriale, scambiate come merci e “alienate” rispetto alla competenza tecnica delle persone che le usano. Cose che esprimerebbero più la deculturazione imposta dal consumismo che non una autentica cultura umana.
Questo libro propone una prospettiva diversa. Suggerisce che per capire la nostra cultura, nel senso antropologico del termine, occorra studiare in primo luogo il nostro rapporto con gli oggetti che costituiscono i mondi della vita quotidiana. Ciò significa in primo luogo ripensare il concetto stesso di consumo. I consumatori non sono soltanto soggetti passivi e alienati: piuttosto, usano il flusso delle merci per costruire attivamente le proprie identità sociali, i propri mondi di significato. Apparentemente intercambiabili, le merci attraversano in realtà processi di “singolarizzazione” e “densificazione” quando entrano in rapporto con i soggetti umani. Non è solo il modo in cui sono prodotte che ne determina il significato, ma anche e soprattutto le pratiche al cui interno vengono usate.
Il libro discute le principali ricerche e teorie che supportano questo studio ad ampio raggio della cultura materiale nella società contemporanea. Mostra che gli oggetti hanno una loro “carriera” o ciclo di vita, attraversano diversi “regimi di valore”, costituiscono “dispositivi socio-tecnici”, giocano un proprio ruolo di agenti sociali attivi. È un percorso difficile per l’antropologia culturale, troppo legata alla classica svalutazione del moderno-inautentico a favore del tradizionale-autentico. Ma anche un percorso necessario per una disciplina che aspira a cogliere la grana profonda e sottile della cultura, che si nasconde oggi nel nostro complesso rapporto quotidiano con l’universo delle merci e del consumo di massa.
Fabio Dei
Fare sport per migliorare la vista... si può!
Si sa che l’esercizio fisico migliora lo stato di salute muscolare e cardiovascolare, le capacità cognitive e la resistenza all’invecchiamento. Non era noto, però, se e in quale misura svolgere attività motorie potesse anche agire sui processi di plasticità cerebrale, cioè la capacità dei circuiti del cervello di adattarsi in risposta agli stimoli ambientali. Questo tema è stato affrontato dai ricercatori Claudia Lunghi, del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia dell’Università di Pisa, e Alessandro Sale dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Pisa, focalizzando l’attenzione sul sistema visivo.
La ricerca, pubblicata su Current Biology, riguarda in particolare un fenomeno chiamato rivalità binoculare. “Quando i nostri occhi vedono due immagini diverse, il cervello va in confusione e, per uscire dall’empasse, privilegia ora l’uno ora l’altro dei due segnali – spiega Sale – Quindi se vengono inviati stimoli contrastanti (per esempio linee orientate in modo diverso) ai due occhi di un soggetto, egli riporterà una continua alternanza delle due immagini, che verranno percepite per una durata temporale che è funzione della forza dell’occhio a cui lo stimolo è presentato”.
La durata della percezione del segnale è un indice della plasticità della corteccia visiva adulta, come osservato da un precedente studio di Lunghi: “Abbiamo dimostrato che se si chiude per circa due ore l’occhio dominante, lo stimolo proiettato all’occhio che era stato chiuso verrà percepito per tempi più lunghi. In pratica chiudere un occhio non indebolisce la forza attribuita ai segnali che gli vengono inviati, anzi la rafforza”.
Tali conoscenze sono alla base della nuova ricerca, ovvero lo studio della plasticità del cervello quando si svolge un’attività motoria. “Abbiamo testato gli effetti di due ore di bendaggio di un occhio su 20 soggetti adulti in due diverse condizioni sperimentali: in una i soggetti stavano seduti durante le due ore di bendaggio e nell’altra pedalavano su una cyclette – prosegue Lunghi – I risultati sono sorprendenti: quando i soggetti svolgevano attività motoria gli effetti del bendaggio monoculare sono apparsi molto più marcati, con un notevole potenziamento della risposta agli stimoli presentati all’occhio che era stato chiuso rispetto all’analoga risposta osservata quando erano stati a riposo”.
Questi risultati hanno importanti applicazioni in campo clinico per una patologia molto diffusa e incurabile, l’occhio pigro o ambliopia, per cui l'esercizio fisico volontario si prospetta ora come una via promettente per stimolare la plasticità visiva in maniera fisiologica e non invasiva. Tuttavia i meccanismi alla base del fenomeno sono in fase di studio. “Una delle possibili spiegazioni parte dall’osservare che la chiusura temporanea di un occhio riduce nella corteccia visiva i livelli di un neurotrasmettitore inibitorio per il sistema nervoso (GABA) – affermano Sale e Lunghi – Ipotizziamo quindi che attraverso l’attività motoria si ottenga un’ulteriore diminuzione di questa molecola, potenziando la plasticità”.
La plasticità del cervello è massima durante lo sviluppo per poi diminuire drasticamente nell’adulto. “Questo studio – concludono i ricercatori – rappresenta la prima dimostrazione degli effetti dell’attività motoria sulla plasticità del sistema visivo e ci porta a considerare l’esercizio fisico non solo come un’abitudine salutare, ma anche come un aiuto per il cervello a mantenersi giovane”.
Ne hanno parlato:
Repubblica.it
Ansa.it
LaStampa.it
Focus.it
PisaToday.it
Controcampus.it
Panorama.it
LeScienze.it
LiberoQuotidiano.it
ADNkronos.it
insalutenews.it
ilTempo.it
«Per Palmira», una giornata in memoria di Khaled Al-Asaad
L’Università di Pisa dedica una giornata di studi alla memoria di Khaled Al-Asaad, l'archeologo siriano, a lungo direttore del Museo di Palmira, torturato e ucciso dalle truppe dello Stato Islamico il 18 agosto 2015. L’appuntamento, dal titolo «Per Palmira», è organizzato nell'ambito del seminario di ricerca The Learning Roads, e si terrà mercoledì 9 dicembre a partire dalle ore 10 alla Gipsoteca di Arte antica, in piazza San Paolo all’Orto. Dopo i saluti istituzionali, interverranno Marilina Betrò egittologa dell’Ateneo pisano, Maria Teresa Grassi dell’Università di Milano, Ettore Janulardo, storico dell’arte dell’Università di Bologna, Stefania Mazzoni dell’Ateneo fiorentino, Maurizio Paoletti dell’Università della Calabria e di quella di Pisa e Cecilia Zecchinelli, giornalista e arabista.
Donne, scienza e carriere femminili
Due giorni per parlare di donne, scienza e carriere femminili. Il 9 e 10 dicembre, al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, in via Serafini 3, si terrà la conferenza annuale di TRIGGER, il progetto finanziato dall’Unione Europea che mira a sviluppare una serie di percorsi e azioni pensati per eliminare discriminazioni e stereotipi dominanti. Le due giornate, dal titolo "Donne e scienza. Un passato da condividere, un futuro da promuovere", si apriranno mercoledì mattina alle 9.30, mentre giovedì mattina, alle 11, a Palazzo Vitelli in Lungarno Pacinotti 44, sarà inaugurata la mostra “Donne e Scienza”, curata da Gloria Spandre dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dall’Associazione “La Nuova Limonaia”, che resterà aperta sino al 29 dicembre.
Nel corso della conferenza saranno trattati aspetti relativi alle carriere femminili e alle professioni, sia in prospettiva storica sia attraverso gli esiti di ricerche realizzate negli atenei toscani. Il duplice piano consentirà un confronto significativo sugli ostacoli tuttora presenti, che determinano il cosiddetto “leaky pipeline” (letteralmente “conduttura che perde”), cioè quel fenomeno che fa sì che una percentuale di donne maggiore di quella degli uomini si fermi ai gradini più bassi della carriera, quando non rinunci del tutto. Un focus sarà quindi dedicato alle carriere femminili all’Università di Pisa, in particolare nei tre dipartimenti di medicina e nei tre di ingegneria.
Il progetto TRIGGER (TRansforming Institutions by Gendering contents and Gaining Equality in Research), finanziato nell'ambito del 7° Programma Quadro dell'Unione Europea, è coordinato dal dipartimento per i Diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio e l'Università di Pisa vi partecipa, insieme a quelle di Londra, Parigi, Madrid e Praga.
Un deserto che prende vita
Dalle rocce sedimentarie che compongono il deserto di Ica affiorano fossili di vertebrati marini che svelano i segreti dell’evoluzione degli antichi sistemi oceanici. Succede in Perù, grazie alle campagne di scavi intraprese dal 2006 da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Pisa, che nel corso degli anni sono riuscite a riportare alla luce sull’altopiano di Pisco, lungo la costa meridionale del Paese, uno straordinario numero di fossili, tra cui il Leviatano, parente dell’attuale capodoglio ritrovato ormai alcuni fa. Il cuore di quello che possiamo definire il “laboratorio dell’evoluzione in ambiente marino” è il sito di Cerro Colorado dove, in un’area pari di circa 12 chilometri quadrati (più o meno coincidente con quella della città di Pisa), sono stati censiti 318 fossili di vertebrati marini risalenti a circa 10 milioni di anni fa.
Stavolta a dare informazioni sull’evoluzione della vita negli oceani sono stati i cetoteridi (una famiglia estinta di balene di piccola taglia) e gli zifidi (cetacei ancora oggi rappresentati, ma poco conosciuti per via delle loro abitudini di profondità). Le ultime campagne di scavo hanno gettato nuova luce sulle consuetudini alimentari di queste forme di cetacei 'primitivi': “Nella primavera dello scorso anno, durante lo scavo di uno scheletro quasi completo di cetoteride, ossa e scaglie di sardina sono stati rivenuti in corrispondenza della cassa toracica – racconta Alberto Collareta, dottorando dell’Università di Pisa che con i suoi studi sta cercando di ricostruire la struttura ecologica della fauna fossile della Formazione Pisco – Tali resti sono stati interpretati come il contenuto stomacale fossilizzato della balena. Sulla base di questo ritrovamento si ipotizza che il cetoteride di Cerro Colorado fosse un piscivoro che si alimentava “a boccate”, una strategia trofica che caratterizza tutte le balene che oggi si nutrono di pesci”.
Lo studio del contenuto stomacale, un oggetto molto fragile e dalla complessa architettura tridimensionale, è stato possibile grazie all'applicazione di metodologie di imaging per tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione (micro-CT) in collaborazione con i ricercatori dell'U.O. Radiodiagnostica 3 e dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.
“A settembre 2014 è stato poi il turno dello zifide – aggiunge Collareta – La scoperta di un gran numero di scheletri parziali di sardina associati a uno scheletro di zifide è stato interpretato come evidenza di interazione trofica tra il cetaceo (il predatore) e i pesci (le prede). Questo record fossile supporta l'ipotesi che le abitudini abissali e la dieta a base di molluschi cefalopodi caratterizzino solo gli zifidi “moderni”, mentre l'estinzione delle forme più primitive potrebbe coincidere con la radiazione dei delfini, che ne avrebbero occupato la nicchia ecologica da predatori superficiali”.
Infine, entrambi i ritrovamenti indicano che, come anche oggi accade, le coste del Perù vedessero la presenza di ingenti banche di sardine che attiravano una grande diversità di vertebrati predatori. Questi due studi sono stati pubblicati in due articoli gemelli recentemente pubblicati su “The Science of Nature” e sui “Proceedings B of the Royal Society of London”. “Zifidi e cetoteridi costituiscono componenti importanti delle associazioni fossili a vertebrati marini del Miocene superiore (circa 12-5 milioni di anni fa) e dunque rappresentano tappe fondamentali nell’evoluzione dei cetacei e più in generale nella strutturazione dei moderni ecosistemi marini – conclude Collareta – Tuttavia, prima delle nostre ricerche nel deserto del Perù non avevamo nessuna testimonianza diretta del loro ruolo ecologico”.
“Questi risultati – commenta Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, veterano del deserto del Perù e coordinatore di un progetto PRIN e di un National Geographic Grant – sono frutto del costante e meticoloso lavoro di campagna effettuato negli ultimi anni, che ha visto sul terreno un gruppo costituito da paleontologi dei vertebrati, micropaleontologi, geologi e vulcanologi. Tale impegno, che continua tuttora, è possibile grazie a progetti che coinvolgono scienziati delle università di Pisa, Camerino e Milano Bicocca e diverse istituzioni straniere. Grazie a questo genere di finanziamenti, giovani ricercatori italiani - laureandi e dottorandi - hanno avuto la possibilità di affrontare le grandi questioni dell'evoluzione oceanografica e biologica dell'ambiente marino in una delle aree più significative a livello mondiale, confrontandosi sul campo con scienziati provenienti da tutto il mondo. Un’esperienza - conclude Bianucci - che dimostra l'importanza, anche nell'ambito delle geoscienze, di un approccio multidisciplinare e integrato per raggiungere grandi risultati”.
Nelle immagini: in alto una ricostruzione di zifidi arcaici nel loro ambiente naturale mentre si nutrono di sardine, basata sull'associazione fossile scoperta a Cerro Colorado (illustrazione di Alberto Gennari); al centro Alberto Collareta mentre scava le mandibole di un cetoteride a Cerro Colorado; in basso micro-CT scan del contenuto stomacale fossile di un cetoteride di Cerro Colorado.
Ne hanno parlato:
Ansa.it
Nazione Pisa
StampToscana
PisaInformaFlash.it
PisaToday.it
Controcampus.it
Greenreport.it
gonews.it
QuiNewsPisa.it
A Pisa una giornata 'Per Palmira'
Mercoledì 9 dicembre si apre alle 10, con il patrocinio della Commissione Nazionale per l’UNESCO, una giornata dedicata a Palmira e al tema del patrimonio archeologico nei territori sconvolti dalla guerra o a rischio. Può apparire inopportuno, forse risibile, parlare di salvaguardia del patrimonio archeologico, di siti distrutti o minacciati, in un momento come questo, dopo i morti di Parigi e con le migliaia di vittime innocenti di un Vicino Oriente sempre più a ferro e fuoco. “Eppure sono due facce di uno stesso problema, di un Giano mostruoso che di volti ne ha ben più di due.” dice la professoressa Marilina Betrò, organizzatrice della giornata insieme alla professoressa Cristina D’Ancona e al seminario di ricerca “The Learning Roads” del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere. “Un’atroce gelida geometria collega le statue mutilate di Mosul alla Parigi sfregiata del 13 novembre: pietre, vite, manoscritti sembrano pesare lo stesso astratto niente per chi cerca di perseguire una sistematica strategia di cancellazione di valori e identità”.
Guarda la locandina dell'evento.
Irina Bokova, direttore generale dell’UNESCO, in un’intervista rilasciata lo scorso 22 agosto, ha detto: “Dobbiamo reagire, trattare questi attacchi alla cultura alla stregua di ogni altra questione di sicurezza internazionale, alla stregua di un'emergenza umanitaria. Perché è chiaro ormai che nella perversa strategia dei jihadisti si tratta della stessa cosa. Il patrimonio culturale è legato all'identità dei popoli. Non è solo questione di vecchie pietre, ma dei valori a esse connessi. Valori che parlano di tolleranza, di dialogo, di convivenza e mutuo rispetto. Cancellare le radici comuni è parte della loro strategia”.
È per questo motivo che l’Università di Pisa ha indetto una giornata “Per Palmira”: per onorare la memoria dell’archeologo siriano Khaled Al-Asaad, ucciso dai jihadisti per aver tentato di proteggere il sito di cui per anni era stato direttore, ma anche per riflettere e avviare la discussione sulle ragioni di un fenomeno che va ben oltre questa estrema iconoclastia, per interrogarsi sul contesto in cui nasce e per fare il punto sulla risposta della comunità scientifica internazionale.
Nella giornata del 9 dicembre interverranno su questi temi archeologi ed esperti, che in questa drammatica situazione operano o hanno operato fino a poco tempo fa: Palmira, la favolosa e plurimillenaria città carovaniera che la regina Zenobia portò all’apice del suo splendore nel III secolo d.C., sarà al centro della mattina, con l’intervento della direttrice della missione siro-italiana a Palmira, Maria Teresa Grassi (Università di Milano); alla Siria tutta (ma non solo) sarà dedicato il pomeriggio, con le relazioni di Stefania Mazzoni, che in Siria ha diretto per anni per l’Università di Pisa e ora per quella di Firenze la missione archeologica a Tell Afis, di Ettore Janulardo, Maurizio Paoletti, Cecilia Zecchinelli.
“È un problema complesso - commenta ancora Marilina Betrò - il mondo ha gridato giustamente indignato dinanzi all’esplosione dell’Arco di Trionfo di Palmira, ai templi polverizzati di Baal e Baalshamin, ma la distruzione del patrimonio dell’umanità non si esaurisce purtroppo nel solo operato dei jihadisti: mentre l’attenzione si focalizza su loro, la distruzione di Sergilla o di Khirbet Hass, capolavori della tarda antichità siriana, sotto i recenti bombardamenti russi è passata inosservata. L’orrore per le vittime della Jihad, che siano a Parigi o in Siria, non dovrà mai abbandonarci, ma non vanno nemmeno dimenticate le vittime innocenti di una situazione di conflitto che da anni insanguina tragicamente il Vicino Oriente, né le migliaia di persone in fuga dalla guerra, i profughi cui è dedicata la mostra allestita in questi stessi giorni in Gipsoteca”.
Foto di Gianluca Buonomini.
Leggi il programma della giornata.
Donne e tecnologia, scienza e fiction: tre giorni in onore di Ada Lovelace
Bruce Sterling e Paul Di Filippo, tra più noti scrittori di fantascienza al mondo, sono solo i nomi di maggior richiamo di un parterre che include storici dell’informatica (Dorow Swade, Silvio Hénin), esperte di nuove tecnologie (Luigina Aiello, Jasmina Tesanovic) e cartoonist (Sydney Padua), che saranno a Pisa il 9, 10 e 14 dicembre per STEMpink, una serie di appuntamenti tra scienza e fiction attorno al tema “donne e tecnologia”, tutti a ingresso gratuito.
In occasione del bicentenario della nascita di Ada Lovelace, prima programmatrice informatica della storia e unica figlia legittima del poeta inglese Lord Byron, l’Università di Pisa e il Museo degli Strumenti per il Calcolo, in partnership con Fondazione Sistema Toscana e Fondazione Galileo Galilei, dedicano tre giorni a esplorare l’eredità intellettuale della matematica inglese. A introdurre la giornata del 14 dicembre lo scrittore Marco Malvaldi.
Le iniziative sono state presentate nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta al rettorato dell'Università di Pisa venerdì 4 dicembre, a cui hanno partecipato Nicoletta De Francesco, prorettore vicario, Fabio Gadducci, esperto di narrativa digitale e direttore del Museo degli Strumenti per il calcolo, Alfonso M. Iacono, presidente del Sistema Museale di Ateneo.
Il nome dell’iniziativa, STEMpink, è un gioco di parole tra l’acronimo STEM, che in gergo tecnico indica Science, Technology, Engineering and Mathematics (in rosa, in questo caso), e lo SteamPunk, filone della narrativa fantastico-fantascientifica ambientato in un mondo vittoriano alternativo.
È anche grazie a graphic novel e romanzi di fantascienza, infatti, che oggi il nome di Ada Lovelace è assurto a nume tutelare dell’informatica al femminile, con un linguaggio di programmazione a lei dedicato e alcune giornate internazionali (gli Ada Days) che ogni anno celebrano i successi riportati da donne nel campo scientifico.
Tre gli appuntamenti a Pisa: il 9 dicembre con una serata al Cinema Arsenale, aperta da una “intervista impossibile” ad Ada (messa in scena da Paolo Mancarella e dai Sacchi di Sabbia), il 10 dicembre al Museo degli Strumenti per il Calcolo con una serie di interventi dedicati all’informatica fatta dalle donne (tra cui quelli di Bruce Sterling, Luigina Aiello e Jasmina Tesanovic) e il 14 dicembre, sempre al Museo del Calcolo, con relatori internazionali (previsto un servizio di traduzione simultanea) che illustreranno il progetto rivoluzionario sviluppato nell’Ottocento da Ada Lovelace e Charles Babbage, esplorando le suggestioni della (fanta)scienza vittoriana nella fiction contemporanea. Ad aprire il dibattito sarà Marco Malvaldi, a seguire interverranno, tra gli altri, lo scrittore Paul Di Filippo e Sydney Padua, autrice di una graphic novel che vede protagonisti proprio Lovelace e Babbage. Alcune tavole a fumetti saranno esposte al Museo degli Strumenti per il Calcolo durante STEMpink.
Il programma dettagliato delle tre giornate è disponibile a questo link.
Ne hanno parlato:
inToscana.it
Corriere.it
QuinNewsPisa.it/3
gonews.it/3
Askanews.it
PisaToday/2
QuiNewsPisa.it/2
gonews.it/2
Repubblica Firenze
Corriere Fiorentino
Tirreno Pisa
Nazione Pisa
Tirreno Pisa/2
PisaToday
QuiNewsPisa.it
StampToscana.it
Eventi in Toscana
Pisa24
gonews.it
Gazzetta di Firenze
InToscana.it
TirrenoPisa.it
PisaInformaFlash.it
OrgoglioNerd.it
TuttaFirenze.it
LaPrimaPagina.it
GazzettadiLucca.it
RepubblicaFirenze.it
Lo studente al centro della pianificazione della didattica
Nel contesto universitario italiano è da tempo in atto un cambio di paradigma che dovrebbe portare lo studente al centro della pianificazione (e della realizzazione) dell’offerta didattica, passando da un modello “input”, incentrato sul professore e ciò che insegna, a un modello “output”, incentrato su chi apprende e sulle competenze che acquisirà durante gli studi. Ma fino a che punto e in che modo è possibile realizzare questo modello?
Per confrontarsi e discutere di questo tema, il MIUR e la CRUI invitano a partecipare all’evento “Promuovere l’apprendimento incentrato sullo studente nelle istituzioni di istruzione superiore”, che si terrà a Pisa, al Polo Fibonacci, il 10 e l’11 dicembre. L’evento si colloca tra le attività previste dal progetto CHEER (Consolidating Higher Education Experience of Reform), un’iniziativa promossa dal MIUR e finanziata dalla Commissione europea attraverso il Programma Erasmus+, per sostenere il processo di convergenza del sistema di istruzione superiore italiano verso il modello condiviso delineato dal Processo di Bologna.
L’evento intende proporsi come momento in cui confrontarsi su comuni esperienze, successi e difficoltà, nel realizzare una didattica moderna e al passo con le esigenze della nostra società e dei giovani: «Sebbene l’incontro sia principalmente rivolto a chi negli atenei ha la responsabilità istituzionale di promuovere una didattica moderna e funzionale alle esigenze odierne – spiega la professoressa Katherine Isaacs – sarà gradita la partecipazione anche di altre persone interessate, quali studenti, membri dei consigli e singoli docenti. È infatti nostra convinzione che la didattica incentrata sullo studente implichi soprattutto un cambiamento di prospettiva, un cambiamento di atteggiamento: è possibile stimolare il singolo docente a “ripensare” il suo modo di condurre la didattica? Che cosa ne dicono o pensano gli studenti? In che modo possiamo promuovere una maggiore consapevolezza e responsabilità dello studente rispetto al processo di apprendimento? Queste sono alcune delle questioni di cui vogliamo discutere nel corso delle due giornate».
A partire da questi elementi di riflessione, obiettivo finale dell’incontro è la formulazione di alcune linee guida e raccomandazioni da condividere con la CRUI e il MIUR.