In aiuto delle cooperative di Libera per coltivare le terre confiscate alla mafia
Prima hanno svolto attività di formazione sul campo, poi hanno collaborato per definire strategie per la gestione dei terreni e l’adozione di macchinari specifici. Dal 2010 un gruppo di ricerca del settore Meccanica agraria del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agroambientali dell’Università di Pisa sta collaborando con il Consorzio Libera Terra per rendere produttivi e remunerativi i terreni confiscati alla mafia e restituiti alla legalità. In particolare sono due le cooperative che hanno visto l’impegno dei ricercatori pisani, la “Valle del Marro” e “Terre Joniche”, situate entrambe in Calabria: «L’obiettivo principale di queste aziende è fare agricoltura biologica e farla in modo economicamente redditizio – spiega il professor Andrea Peruzzi – Il nostro ruolo è stato quello di dar loro supporto per la scelta e la messa a punto dei macchinari da usare per ottenere produzioni ottimali, grazie anche al contributo di alcuni costruttori di macchine agricole che hanno di fatto “partecipato” al progetto fornendo attrezzature a prezzi politici».
Il Consorzio Libera Terra è costituito da numerose cooperative che coltivano terreni confiscati alle mafie, rendendo “legalmente” produttive e remunerative le attività agricole svolte in contesti fortemente degradati dalle precedenti forme di gestione attuate da organizzazioni criminali: «Le modalità di gestione di questi terreni sono rigorosamente biologiche, una scelta che incrementa il valore etico di queste attività, che risultano connesse con la massima tutela del territorio e dell’ambiente, nonché della salute degli operatori e dei consumatori – commenta Peruzzi - Le cooperative sono formate da giovani, spesso caratterizzati da conoscenze ed esperienze limitate o del tutto assenti relativamente alla conduzione delle aziende agricole e alla definizione di pratiche colturali appropriate, ma fortemente motivati ad affrontare questa “sfida”».
Il professor Peruzzi racconta che le forme di gestione adottate dalle cooperative non sempre consentivano di ottenere buoni risultati. Ad esempio, presso la cooperativa Valle del Marro, l’utilizzo ripetuto di attrezzature azionate per la preparazione del terreno prima dell’impianto di colture di peperoncino e melanzana, aveva causato una rilevante diffusione delle infestanti stolonifere e rizomatose. La strategia colturale è stata dunque impostata sulla preparazione del letto di semina con attrezzature equipaggiate con utensili ad azione statica, in modo da permettere di ottimizzare il controllo preventivo delle malerbe e in seguito, utilizzando le sarchiatrici progettate e realizzate presso l’Università di Pisa, consentirne la rimozione selettiva sia nell’inter-fila che sulla fila, riducendo drasticamente il ricorso alla scerbatura manuale. Presso la cooperativa Terre Ioniche invece è stata messa a punto una strategia colturale mirata a ottimizzare la produzione “conservativa” di cereali e leguminose e la coltivazione del finocchio su terreno baulato.
«La collaborazione con Libera Terra ha dato fino ad adesso ottimi risultati mettendo in luce il ruolo centrale dell’“elemento umano” nel successo di operazioni all’apparenza tecniche e “aride” come quelle che riguardano la scelta e il corretto impiego delle macchine agricole – commenta Peruzzi - I rapporti personali, la condivisione, il rispetto, l’amicizia e la reciproca stima tra i membri delle cooperative, i ricercatori, i costruttori, l’imprenditore agricolo, hanno infatti determinato una rilevante sinergia e una forte empatia, fondata anche sulla consapevolezza di “remare nella stessa direzione”, ossia verso una cultura della legalità che riguarda non solo la gestione delle attività agricole dei terreni confiscati alle mafie, ma anche la formazione degli studenti, la trasmissione del sapere, del fare, del saper fare e del saper far fare».
I costruttori di macchine agricole che hanno contribuito al progetto sono Agribal, Donati, Gruppo Nardi, Marchetti, MIPE-Viviani srl, Nobili, Spapperi. La fornitura delle attrezzature per trattamenti termici progettate e realizzate presso l’Università di Pisa è stata totalmente gratuita. Il gruppo di ricerca ha inoltre coinvolto un imprenditore agricolo, Giulio Ciampana di Montalto di Castro, nonché trattorista e orticoltore molto esperto, notevolmente motivato dal valore etico di questo progetto e sostenitore convinto di Libera e Libera Terra.
In aiuto delle cooperative di Libera per coltivare le terre confiscate alla mafia
Prima hanno svolto attività di formazione sul campo, poi hanno collaborato per definire strategie per la gestione dei terreni e l’adozione di macchinari specifici. Dal 2010 un gruppo di ricerca del settore Meccanica agraria del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agroambientali dell’Università di Pisa sta collaborando con il Consorzio Libera Terra per rendere produttivi e remunerativi i terreni confiscati alla mafia e restituiti alla legalità. In particolare sono due le cooperative che hanno visto l’impegno dei ricercatori pisani, la “Valle del Marro” e “Terre Joniche”, situate entrambe in Calabria: «L’obiettivo principale di queste aziende è fare agricoltura biologica e farla in modo economicamente redditizio – spiega il professor Andrea Peruzzi – Il nostro ruolo è stato quello di dar loro supporto per la scelta e la messa a punto dei macchinari da usare per ottenere produzioni ottimali, grazie anche al contributo di alcuni costruttori di macchine agricole che hanno di fatto “partecipato” al progetto fornendo attrezzature a prezzi politici».
Il Consorzio Libera Terra è costituito da numerose cooperative che coltivano terreni confiscati alle mafie, rendendo “legalmente” produttive e remunerative le attività agricole svolte in contesti fortemente degradati dalle precedenti forme di gestione attuate da organizzazioni criminali: «Le modalità di gestione di questi terreni sono rigorosamente biologiche, una scelta che incrementa il valore etico di queste attività, che risultano connesse con la massima tutela del territorio e dell’ambiente, nonché della salute degli operatori e dei consumatori – commenta Peruzzi - Le cooperative sono formate da giovani, spesso caratterizzati da conoscenze ed esperienze limitate o del tutto assenti relativamente alla conduzione delle aziende agricole e alla definizione di pratiche colturali appropriate, ma fortemente motivati ad affrontare questa “sfida”».
Il professor Peruzzi racconta che le forme di gestione adottate dalle cooperative non sempre consentivano di ottenere buoni risultati. Ad esempio, presso la cooperativa Valle del Marro, l’utilizzo ripetuto di attrezzature azionate per la preparazione del terreno prima dell’impianto di colture di peperoncino e melanzana, aveva causato una rilevante diffusione delle infestanti stolonifere e rizomatose. La strategia colturale è stata dunque impostata sulla preparazione del letto di semina con attrezzature equipaggiate con utensili ad azione statica, in modo da permettere di ottimizzare il controllo preventivo delle malerbe e in seguito, utilizzando le sarchiatrici progettate e realizzate presso l’Università di Pisa, consentirne la rimozione selettiva sia nell’inter-fila che sulla fila, riducendo drasticamente il ricorso alla scerbatura manuale. Presso la cooperativa Terre Ioniche invece è stata messa a punto una strategia colturale mirata a ottimizzare la produzione “conservativa” di cereali e leguminose e la coltivazione del finocchio su terreno baulato.
«La collaborazione con Libera Terra ha dato fino ad adesso ottimi risultati mettendo in luce il ruolo centrale dell’“elemento umano” nel successo di operazioni all’apparenza tecniche e “aride” come quelle che riguardano la scelta e il corretto impiego delle macchine agricole – commenta Peruzzi - I rapporti personali, la condivisione, il rispetto, l’amicizia e la reciproca stima tra i membri delle cooperative, i ricercatori, i costruttori, l’imprenditore agricolo, hanno infatti determinato una rilevante sinergia e una forte empatia, fondata anche sulla consapevolezza di “remare nella stessa direzione”, ossia verso una cultura della legalità che riguarda non solo la gestione delle attività agricole dei terreni confiscati alle mafie, ma anche la formazione degli studenti, la trasmissione del sapere, del fare, del saper fare e del saper far fare».
I costruttori di macchine agricole che hanno contribuito al progetto sono Agribal, Donati, Gruppo Nardi, Marchetti, MIPE-Viviani srl, Nobili, Spapperi. La fornitura delle attrezzature per trattamenti termici progettate e realizzate presso l’Università di Pisa è stata totalmente gratuita. Il gruppo di ricerca ha inoltre coinvolto un imprenditore agricolo, Giulio Ciampana di Montalto di Castro, nonché trattorista e orticoltore molto esperto, notevolmente motivato dal valore etico di questo progetto e sostenitore convinto di Libera e Libera Terra.
Ne hanno parlato:
InToscana.it
PisaToday
Pisa Informa Flash
Ateneo e AIRC insieme per la lotta contro il cancro
Sarà l'Università di Pisa a ospitare uno degli "Incontri con la ricerca" che l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) organizza negli atenei per informare l’opinione pubblica sui progressi della ricerca sul cancro, trasmettendo agli studenti e ai ragazzi l’entusiasmo e la passione che animano gli studi oncologici attraverso la viva voce dei suoi protagonisti. L'incontro si terrà mercoledì 4 novembre, a partire dalle ore 11.30, nell'Aula "Fratelli Pontecorvo" del Polo Fibonacci.
Ai saluti introduttivi del rettore Massimo Augello, seguiranno gli interventi del professor Pier Paolo Di Fiore, ordinario di Patologia generale all'Università degli Studi di Milano e coordinatore di due progetti finanziati da AIRC sul carcinoma mammario, e della professoressa Elisa Giovannetti, ricercatrice dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana che sta sviluppando gli studi sui meccanismi di funzionamento dei farmaci antitumorali, in particolare per quanto riguarda i tumori pancreatici. Con loro, saranno sul palco Lorenzo Purini, che ha raccontato la sua esperienza di malattia nel libro "Orecchie d'Elefante" e che insieme alla sua famiglia è stato protagonista della campagna AIRC 2014, e Cornelia Laìno Mori, vice presidente del Comitato AIRC Toscana. Il dibattito sarà moderato da Bruno Manfellotto, ex direttore e ora editorialista del settimanale "L’Espresso".
L'iniziativa pisana fa parte del programma che AIRC promuove per "I Giorni della Ricerca", che quest'anno si svolgeranno dal 2 all'8 novembre. La presentazione è fissata per giovedì 29 ottobre al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dei massimi rappresentanti del mondo scientifico. Il 4 novembre seguiranno gli "Incontri con la ricerca", che riguarderanno, oltre a Pisa, anche le Università di Cagliari, Genova e Pavia. Il 5 e 6 novembre ci saranno gli incontri con gli studenti delle scuole secondarie superiori e nei giorni successivi manifestazioni nelle piazze e negli stadi italiani.
Nato nel 2011, il progetto degli "Incontri con la ricerca" è stato condiviso dalle più importanti università italiane, toccando finora 17 atenei e raggiungendo migliaia di studenti, in particolare di Medicina, Biologia e dei settori scientifici che sempre più si stanno rivelando fondamentali per la ricerca sul cancro. Gli incontri sono appuntamenti decisivi per condividere l'impegno dell'AIRC a sostegno dei migliori ricercatori di tutta Italia e del loro lavoro, che ci ha permesso di compiere passi avanti verso una migliore curabilità della malattia. Grazie alla collaborazione di circa 600 esperti, in gran parte internazionali, l'AIRC valuta ogni anno oltre mille candidati per progetti e borse di studio, selezionando e finanziando soltanto i più promettenti. Nell’esperienza dei ricercatori AIRC, inoltre, la missione di trovare nuove cure è inseparabile dalla propria storia personale e dalla passione per il lavoro. Sono proprio queste esperienze e questa passione che i ricercatori cercheranno di trasmettere agli studenti universitari e a tutti i ragazzi in occasione dell'"Incontro con la ricerca" organizzato nell'Ateneo pisano.
Laurea Honoris Causa al professor Umberto Laffi
La Pontificia Università Cattolica di Valparaiso (Cile) ha conferito ad Umberto Laffi (a sinistra nella foto), professore emerito dell’Università di Pisa, il riconoscimento di Doctor Scientiae et Honoris Causa. La cerimonia si è svolta il 19 ottobre scorso alla presenza delle più alte autorità accademiche cilene fra cui professor Raúl Buono-Core, direttore dell'Istituto di Storia, che ha ricordato i molti anni di amicizia e di collaborazione scientifica che legano il professore pisano all'ateneo di Valparaiso.
"Il professor Laffi – ha detto Raúl Buono-Core – è una figura di spicco nel mondo della ricerca e della conoscenza. Si tratta di uno dei più grandi studiosi del mondo antico, eminente ricercatore del diritto romano. Il suo lavoro è conosciuto da tutta la comunità accademica internazionale. Oggi stiamo onorando un insigne studioso e un amico della nostra Università ".
Nato a Belluno nel 1939, Umberto Laffi è stato allievo della Scuola Normale e si è laureato in Lettere classiche all’Università di Pisa nel 1962. Dopo aver conseguito la libera docenza, è stato chiamato nel 1971 a ricoprire la cattedra di Storia romana, e poi di Storia greca. È stato direttore dell’Istituto di Storia antica per un decennio epoi per vari mandati, fino al 1999, ha diretto il dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico dell’Ateneo pisano. Attivissimo nel promuovere rapporti di collaborazione internazionale, il professor Laffi è stato membro dell’Institute for Advanced Study di Princeton, visiting professor presso la Northwestern University e la Pontificia Universidad Católica de Valparaiso.
Laurea Honoris Causa della Pontificia Università Cattolica di Valparaiso al professor Laffi
La Pontificia Università Cattolica di Valparaiso (Cile) ha conferito ad Umberto Laffi, professore emerito dell’Università di Pisa, il riconoscimento di Doctor Scientiae et Honoris Causa. La cerimonia si è svolta il 19 ottobre scorso alla presenza delle più alte autorità accademiche cilene fra cui professor Raúl Buono-Core, direttore dell'Istituto di Storia, che ha ricordato i molti anni di amicizia e di collaborazione scientifica che legano il professore pisano all'ateneo di Valparaiso.
"Il professor Laffi – ha detto Raúl Buono-Core – è una figura di spicco nel mondo della ricerca e della conoscenza. Si tratta di uno dei più grandi studiosi del mondo antico, eminente ricercatore del diritto romano. Il suo lavoro è conosciuto da tutta la comunità accademica internazionale. Oggi stiamo onorando un insigne studioso e un amico della nostra Università ".
Nato a Belluno nel 1939, Umberto Laffi è stato allievo della Scuola Normale e si è laureato in Lettere classiche all’Università di Pisa nel 1962. Dopo aver conseguito la libera docenza, è stato chiamato nel 1971 a ricoprire la cattedra di Storia romana, e poi di Storia greca. È stato direttore dell’Istituto di Storia antica per un decennio epoi per vari mandati, fino al 1999, ha diretto il dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico dell’Ateneo pisano. Attivissimo nel promuovere rapporti di collaborazione internazionale, il professor Laffi è stato membro dell’Institute for Advanced Study di Princeton, visiting professor presso la Northwestern University e la Pontificia Universidad Católica de Valparaiso.
Il sistema europeo di asilo in tempi di crisi
Il 30 ottobre alle 15, nell'aula magna del Polo Carmignani in piazza dei Cavalieri si terrà una tavola rotonda sul tema “Il sistema europeo di asilo in tempi di crisi: novità recenti, tendenze di sviluppo”. L’obiettivo dell’incontro è di offrire un’occasione di confronto e riflessione sulle sfide che deve affrontare l’UE sul piano della gestione dei flussi dei richiedenti asilo che cercano protezione in Europa.
L'evento rappresenta anche l'occasione per presentare al pubblico le molteplici iniziative dell'Università di Pisa che riguardano la sfida globale, e quanto mai attuale, delle migrazioni, tra cui l'Osservatorio sul diritto europeo dell'immigrazione e la laurea magistrale in "Studi internazionali".
"In questa fase convulsa, che vede troppo spesso gli Stati e l'UE inseguire i fatti anziché prevederli e governarli appare fondamentale creare occasioni di dialogo qualificato tra esponenti delle organizzazioni internazionali, rappresentanti del governo italiano e la società civile", ha sottolineato il professore Marcello Di Filippo coordinatore dell'Osservatorio e moderatore dell’incontro.
Alla tavola rotonda partecipano Domenico Manzione, sottosegretario agli Interni del Governo italiano, Riccardo Clerici, responsabile unità protezione per l’Italia dell’UNHCR, Valeria Carlini, responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione del Consiglio italiano rifugiati, e Anneliese Baldaccini di Amnesty International.
Presentato a Montecitorio il volume 'Spassionati'
Venerdì 23 ottobre nella sala "Aldo Moro" di Montecitorio - nell'ambito della VII edizione della "Giornata del Libro Politico a Montecitorio" - é stato presentato il volume Spassionati. Nuovi cittadini nella democrazia che verrà, a cura di Gianna Fregonara.
Il volume, che raccoglie le interviste a dodici notissime personalità del mondo culturale e politico che si sono confrontate in merito al preoccupante livello di disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche, è pubblicato con il logo del Coordinamento University Press Italiane che ha ideato e promosso il progetto, affidandone la realizzazione e la distribuzione alla casa editrice Pisa University Press a cui attualmente é delegata la gestione del Coordinamento.
Al tavolo dei relatori, oltre alla curatrice, erano presenti Luciano Violante e Vittorino Andreoli. Nel corso della cerimonia inaugurale della manifestazione una delegazione del Coordinamento ha incontrato la Presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha espresso vivo apprezzamento per l'attività svolta dalle University Press Italiane e ha apposto una propria dedica ("Alle università che non si arrendono!") su una copia del volume alla cui realizzazione lei stessa ha contributo accettando di essere inserita nel novero degli intervistati.
Nei prossimi giorni saranno disponibili sul sito della Camere le interviste ai relatori presenti. Per maggiori dettagli si può consultare il sito della Camera, all'indirizzo: http://www.camera.it/leg17/537?shadow_mostra=24068
Pubblichiamo di seguito l'Introduzione al volume a firma di Gianna Fregonara.
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Se è vero che per i saggi c'è sempre tempo per trarre una lezione dalla storia, si può anche provare a ricavare qualche insegnamento, o almeno qualche indicazione, dalla cronaca e dagli anni che stiamo vivendo. È questa l'idea all'origine delle dodici interviste di questo libro, dodici colloqui con testimoni significativi del nostro tempo: dialogando con loro sulle istituzioni, così come sono ora e come si stanno adeguando ai cambiamenti causati da fenomeni epocali come la globalizzazione, la caduta delle frontiere e la rivoluzione digitale, si può provare a immaginare come sarà il mondo di domani, che avrà come protagonisti i ragazzi di oggi. Quale sarà la storia che racconteranno?
Il punto di partenza di questa analisi del rapporto tra cittadini e istituzioni è la scarsa passione dei giovani per la vita pubblica, la politica e le istituzioni stesse, che si scopre nel voto, nei sondaggi e in qualsiasi ricerca che li riguardi: secondo un recente sondaggio condotto dall'Ispo, due giovani su tre in Italia non hanno fiducia nelle istituzioni e meno di uno su cinque crede nei partiti, mentre è la Presidenza della Repubblica l'unica istituzione che ha ancora una rispettabilità riconosciuta anche dai giovani.
Così, proprio nel momento in cui si affaccia all'età adulta una generazione complessivamente molto più preparata e istruita di quelle che l'hanno preceduta e in cui le istituzioni, grazie all'innovazione tecnologica, alla globalizzazione e a cambiamenti sociali di portata storica, dovrebbero essere alla portata di tutti, i ragazzi sembrano voler cercare una distanza. Da qui il titolo di questa raccolta di testimonianze: Spassionati. "Spassionati", un aggettivo che connota e, se è possibile, identifica in un unico insieme i ragazzi di oggi. "S-passionati" vuol dire disinteressati, certo. Ma può significare anche "non faziosi" perché "non partigiani". Che sia necessariamente un difetto è tutto da dimostrare. Riuscire a mantenere una distanza, magari volutamente, potrebbe anche rivelarsi un privilegio, addirittura una virtù, in un tempo che invece queste distanze tende ad annullarle: uno spazio mentale più ampio, un maggior senso critico potrebbero diventare oggi, o meglio ancora domani, doti di cui non si potrà fare a meno.
"Spassionati", dunque, non vuol dire soltanto indifferenti. Può assumere addirittura un risvolto molto impegnativo, oltre che positivo: può voler significare – basta consultare il vocabolario della Treccani – addirittura avere un atteggiamento di giustizia ed equità. Ma non è detto che questo sia il cammino con il quale i giovani troveranno altre motivazioni e finiranno per "appassionarsi" di nuovo alle istituzioni e al bene pubblico, inventando un loro modello di partecipazione. Il timore del disinteresse dei giovani non è nuovo.
Sono celebri le parole di allarme di Piero Calamandrei nel discorso che tenne nel 1955 agli studenti nella sede dell'Umanitaria di Milano. Già sessant'anni fa uno dei padri della nostra Costituzione si domandava se i ragazzi non fossero un po' troppo distanti dall'impegno pubblico, un po' "spassionati": "Una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica. L'indifferentismo è un po' una malattia dei giovani. 'La politica è una brutta cosa. Che me n'importa della politica?', quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: 'Ma siamo in pericolo?' E questo dice: 'Se continua questo mare tra mezz'ora il bastimento affonda'. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: 'Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda'. Quello dice: 'Che me ne importa? Unn'è mica mio!'".
Le cause dell'allontanamento dei giovani dalle istituzioni sono molte e sono state, con risultati alterni, anche molto indagate. Ma per la generazione dei cosiddetti "Millennials", cioè per i ragazzi del Duemila, c'è qualcosa di nuovo e di diverso: non si tratta solo di quell'evoluzione critica ma fisiologica che ha portato a grandi scontri e altrettanto importanti innovazioni negli ultimi cinquant'anni. Si corre per la prima volta il rischio di una cesura più radicale con l'esperienza passata su cui si è fondato il cammino della democrazia nel nostro continente. I ragazzi, lo spiega Giuliano Amato nell'intervista che segue, si trovano a essere cittadini di un'Europa che non hanno costruito loro, che è a loro disposizione ma che nelle sue forme istituzionali non coincide con la realtà vissuta ogni giorno: da Bruxelles e Strasburgo non arriva loro alcun racconto della storia europea, nessun indizio della fatica della costruzione del percorso comune del nostro continente fatto di slanci in avanti e di passi indietro. Non è più questione di contrapposizione tra l'identità nazionale e quella europea, di scontro tra la visione federalista e la visione minimalista che abbiamo ereditato dopo lo shock planetario della Seconda Guerra Mondiale.
È tuttavia difficile dire se i ragazzi di oggi rischiano davvero di essere i "nuovi Barbari", di cui ha parlato Eugenio Scalfari sull'"Espresso", e cioè "una generazione di giovani vigorosi che scelgono nuove forme di linguaggio e lottano per costruire un futuro del tutto diverso dal nostro lascito": "Confesso – scrive Scalfari – che questa visione positiva dei barbari ha trovato fin qui scarso riscontro [...] Una società imbarbarita può avere una visione politica del bene comune? Ne dubito. Una visione del bene comune comporta un'assunzione di responsabilità poco compatibile con l'imbarbarimento. Le società imbarbarite sono piuttosto sedotte dal populismo e dall'antipolitica. Gli interessi particolari soverchiano quelli generali, lo Stato è considerato un nemico, la Costituzione un vincolo inutile, la legalità una parola vuota, una sorta di plastilina che ciascun interesse lobbistico modella a proprio uso e consumo". Barbari, non bamboccioni, non per forza degli incivili, ma persone appartenenti ad un'"altra civiltà", nel senso di un altro modo di pensare che non si sente del tutto erede di quello dei padri o delle generazioni precedenti e che arriva, in qualche caso, a immaginare di poter far senza alcune delle strutture che finora hanno regolato la società occidentale.
Non la pensa così per esempio Beppe Severgnini: lui che da giornalista ha seguito i giovani nell'ultima rivoluzione d'Europa, quella che ormai 25 anni fa ha portato alla caduta del Muro di Berlino, crede che i giovani di allora e quelli di oggi "si somiglino, anche se non lo sanno": "Oggi come allora nessun ventenne pensa di essere uno dei tanti ventenni della storia dell'umanità". Ma nonostante adesso siano sicuramente più rapidi e sintetici, i ragazzi si trovano a navigare senza bussola in acque incerte e agitate, cercando la loro via. La fine del binomio Est/Ovest che per molti di noi era tradotto ideologicamente in buono/cattivo, la sconfitta del comunismo e di tanti "ismi" non hanno portato effettivamente, almeno per ora, a un nuovo ordine.
Se è vero, come pensa il sociologo Domenico De Masi, che il futuro dei giovani, cioè il futuro del lavoro, dipende più dalle stampanti a 3D che non dalle norme del Jobs Act, allora è anche vero chela cesura tra giovani e vecchi non è altro che l'incomunicabilità tra chi ha vissuto nel mondo "analogico" e chi è "nativo digitale": questa separazione non significa soltanto che gli uni sanno usareil computer e muoversi sulla rete e gli altri no. In un mondo "gelatinoso" per dirla con Zygmunt Bauman, in cui il lavoro non creativo diminuisce di anno in anno grazie (o a causa) dell'innovazione, l'economia è guidata molto più dalle invenzioni che dalle regole, per buone e adeguate che esse possano essere. E quello dei giovani è proprio un modo di vivere diverso, che non può che interferire con la dimensione sociale di ognuno di noi, e dunque anche nei rapporti con le istituzioni.
Sicuramente i cambiamenti sociali continui "trascineranno" i giovani a trovare la loro nuova modalità di convivenza (leggere l'intervista dello psichiatra Vittorino Andreoli). Ma, anche senza dover condividere la tesi dell'imprenditore Oscar Farinetti che il sistema è sul punto di "rimbalzare" avendo toccato il fondo, non possiamo non domandarci quale sia lo stato delle istituzioni e la visione della società alla quale i ragazzi di oggi appartengono. Che istituzioni lasciamo alle generazioni che verranno? Siamo a un passaggio epocale in cui si è esaurito il modello di società che si era cristallizzato dopo la Seconda Guerra Mondiale, che aveva giustificato anche tante inefficienze o compromessi in nome della democrazia occidentale e che oggi sono destinati a non resistere a lungo, se non trovano altri fondamenti che ne consolidino il valore. Guardando al nostro Paese, i cambiamenti, a volte non coerenti, che hanno modificato le istituzioni anche radicalmente negli ultimi trent'anni si possono considerare superiori per l'impatto a una riforma organica delle stesse. Non solo è cambiato il modo di funzionare del nostro sistema parlamentare, ma le altre modifiche istituzionali, dall'introduzione di elementi di federalismo fino alla doppia modifica della legge elettorale, hanno ridotto il ruolo dei partiti e addirittura spostato i luoghi di decisione e infine anche modificato la classe politica.
Tutto questo è avvenuto in un clima di emergenza e di delegittimazione reciproca dei partiti – come ci racconta nelle pagine che seguono Luciano Violante –, in uno scontro destra/sinistra che oggi appare anacronistico. E, insieme alla crisi economica più grave dell'ultimo secolo e alla diffusione delle nuove forme di comunicazione digitale, ha portato, in Italia ma anche negli altri Paesi europei, alla nascita di nuovi movimenti di ispirazione più estremista e populista, che tendono tra l'altro a "smontare", senza proporre alternative, quei valori di solidarietà – valori costituzionali che oggi vengono sempre più spesso scambiati per debolezze e "buonismo", come ci ricorda la presidente della Camera Laura Boldrini – e di impegno a condividere la stessa sorte che nel sistema attuale sono risultati fondamentali anche per garantire i diritti, se non proprio a tutti, almeno a tanti.
La filosofa della politica Nadia Urbinati, nelle pagine che seguono, scommette su uno scenario in cui a un certo punto anche le istituzioni, compresi i partiti e l'informazione, dovranno evolversi ma restare come elemento necessario di mediazione – quasi un cuscinetto sociale e ideale – per permettere ai cittadini e dunque alla struttura degli Stati di cambiare senza disintegrarsi o trasformarsi in regimi populisti e autoritari. Nel silenzio degli intellettuali che, secondo quello che racconta il giornalista e scrittore Corrado Augias, per lo più "sono finiti a casa perché risentono dell'atmosfera generale e dopo una stagione in cui ritenevano di intervenire su qualsiasi problema nel vasto mondo, ora si sono rintanati... e vanno in giro a vendere i loro libri", resta da interrogarsi sulla teoria spietata a proposito della fine dell'"homo politicus" elaborata dal francese Christian Salmon nel suo ultimo libro La politica nell'era dello storytelling (Fazi, 2014). Anche senza tirare le estreme conseguenze dell'autore, fa riflettere la sua analisi: dopo la fine della contrapposizione frontale tra due modelli di pensiero, mentre gli Stati perdono di sovranità, la politica come l'abbiamo conosciuta negli ultimi due secoli "giunge al capolinea" e "i potenti non hanno più le sembianze dei sovrani ma quelle di soggetti di conversazione, di personaggi di serie Tv sui quali proiettiamo i nostri desideri contraddittori", non sono più a capo di istituzioni che fanno leggi e governano ma la "loro autorità è appesa al fragile filo della credenza collettiva", per cui "non viene eletto chi convince delle proprie capacità di agire ma del suo potere illusionistico".
Salmon usa la favola dei Vestiti nuovi dell'imperatore come metafora della politica di oggi, costretta a essere volontaristica e a lanciare perenni e ripetuti segnali di ottimismo senza potersi fermare sulla realtà e sulle difficoltà effettive del momento, rischiando di portare alla lunga auna deriva di promesse irrealizzabili. Ha senso dunque fermarsi e, come dice il ministro della Giustizia del governo Monti Paola Severino, chiedersi se "più che una riforma non sia necessario e utile gettare i semi di una battaglia culturale che parta dall'educazione". O forse, come ci suggerisce Emma Bonino, dovremmo provare a rialzare lo sguardo anche oltre i nostri confini, da dove, per paradosso, arrivano alcune speranze di impegno: proprio da luoghi che oggi consideriamo molto instabili e rischiosi.
Basta leggere il racconto della blogger tunisina Amira Yahyaoui, trent'anni appena compiuti e vincitrice del premio Chirac per la prevenzione dei conflitti, sul lavoro svolto dalla sua Ong al fine di garantire la trasparenza e l'accountability dei parlamentari del suo Paese alle prese con la scrittura della nuova Costituzione e con lo sforzo complesso di proseguire sulla via della democrazia laica e moderna, contrastando giorno per giorno gli estremisti ei fondamentalisti. Perché per le generazioni che verranno il rischio forse non è il re nudo di cui parla Salmon, ma il Pifferaio dei fratelli Grimm: se non troveranno il loro modo di stare dentro le istituzioni, anche per cambiarle, potrebbero finire per non distinguere l'importanza delle battaglie fatte nell'ultimo secolo, di non considerare essenziali diritti che oggi sono scontati e dunque anche a buon mercato, di faticare a distinguere le lungaggini e le inefficienze da quei meccanismi di convivenza democratica che nessuno di noi sarebbe disposto a sacrificare. E proprio cominciando da questa consapevolezza vi invito a cominciare il viaggio nelle pagine degli "Spassionati".
Gianna Fregonara
Università e mondo del lavoro: presentazione dei servizi di placement nei dipartimenti
Dove lavorano i laureati dell’Università di Pisa? Quali sono i servizi che l’Ateneo offre agli studenti e ai neolaureati per facilitare la transizione dal mondo della formazione a quello del lavoro? Quali strumenti sono a disposizione dei docenti per monitorare gli sbocchi occupazionali dei laureati? Quali sono le aziende più attive nel contattare i nostri laureati? Sono questi i temi che saranno affrontati nel corso di una serie di presentazioni promosse su iniziativa del Comitato Job Placement di Ateneo, coordinato dalla professoressa Monica Pratesi, delegata del rettore al Placement, e costituito dai docenti dei dipartimenti delegati dai direttori. Le presentazioni, aperte a tutti gli studenti e ai docenti interessati, sono state raggruppate in sei aree disciplinari. Gli studenti possono iscriversi agli incontri compilando la scheda disponibile alla pagina http://goo.gl/Vc7j3l.
Questo è il calendario delle presentazioni: area Agraria, Farmacia e Veterinaria (dipartimenti di Farmacia, Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali, Scienze Veterinarie), mercoledì 28 ottobre, ore 12.00-14.00, nell’Aula Magna del dipartimento di Scienze Veterinarie, in via delle Piagge 2; area Scienze giuridiche, economiche e sociali (dipartimenti di Economia e Management, Giurisprudenza, Scienze Politiche), giovedì 29 ottobre, ore 14.00-16.00, nell’Aula M1 del Polo Didattico delle Piagge, in via Giacomo Matteotti 3; area Scienze matematiche, fisiche e della natura (dipartimenti di Biologia, Chimica e Chimica industriale, Fisica, Informatica, Matematica, Scienze della Terra), giovedì 5 novembre, ore 15.00-17.00, nell’Aula Magna Edificio E, Polo Fibonacci, in via Filippo Buonarroti 4; Area Ingegneria (dipartimenti di Ingegneria civile e industriale, Ingegneria dell'energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni, Ingegneria dell’Informazione), lunedì 9 novembre ore 15.00-17.00, nell’Aula Magna Scuola di Ingegneria, in Largo Lucio Lazzarino; area Discipline umanistiche (dipartimenti di Civiltà e forme del sapere, Filologia, Letteratura e Linguistica), martedì 17 novembre, ore 16.00-18.00, nell’Aula R2 di Palazzo Ricci, in via Collegio Ricci 10; area Medicina (dipartimenti di Medicina clinica e sperimentale, Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica, Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia), giovedì 26 novembre, ore 15.00-17.00, nell’Aula D della Scuola Medica, in via Risorgimento 55.
Per maggiori informazioni contattare: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Antico Egitto: il fascino del reale oltre la fantarcheologia
Come sono state costruite le piramidi? E’ questa la domanda da cui partirà la conferenza di Lisa Sartini, independent researcher in egittologia, dal titolo "Antico Egitto: il fascino del reale oltre la fantarcheologia". L’appuntamento, che fa parte del ciclo "L'Egitto dei miti e dei falsi miti" organizzato in collaborazione con la sede pisana Archeoclub d'Italia, è per mercoledì 28 ottobre alle 17 alla Gipsoteca di arte antica dell’Università di Pisa (piazza S. Paolo all'Orto, 20).
Nel suo intervento Lisa Sartini mostrerà quali sono le reali attestazioni archeologiche e gli studi che sono stati compiuti fino ad oggi sulla costruzione delle piramidi, andando parallelamente a demolire le infondate teorie che vedono perfino un intervento alieno. L'antico Egitto ha infatti da sempre affascinato l'immaginario collettivo nel corso dei secoli: miti, magia e misteri si sono prestati a speculazioni e fantasiose ricostruzioni da parte di menti curiose e sedicenti archeologi che hanno cercato nel soprannaturale e nella fantascienza spiegazioni alle domande che da sempre l'uomo moderno si pone di fronte alla maestosità e alle conoscenze di quello straordinario popolo che furono gli antichi egizi.
Mobilitazione contro l'ISEE e occupazione dell'ex-GEA: la nota dell'Ateneo
A Pisa, come in tutta Italia, gli studenti stanno portando avanti la battaglia contro la revisione dei parametri ISEE. L'Ateneo pisano ha dato pieno appoggio alla mobilitazione degli studenti. Il Senato Accademico, nell'ultima seduta, ha deliberato una specifica mozione al riguardo e il rettore si è impegnato a portare nelle sedi istituzionali l'esigenza di revisione delle recenti modifiche ISEE: proprio ieri, infatti, era a Roma all’Assemblea della Conferenza dei Rettori, che ha approvato un documento per chiedere con forza al governo di “garantire il diritto allo studio, sottoponendo a un’attenta verifica il sistema di calcolo degli indicatori ISEE e individuando fonti di finanziamento in modo da assicurare la borsa di studio a tutti gli aventi diritto”.
Dopo l’Assemblea studentesca di martedì 20 ottobre relativa a queste tematiche - appoggiata dall’Ateneo con la sospensione della didattica - un gruppo di studenti ha occupato il complesso ex-GEA. L’Ateneo si è limitato, come sempre in questi casi, a segnalare il fatto agli organi competenti. Nel pomeriggio di giovedì 22 ottobre, di fronte a ripetute segnalazioni che denunciavano la sottrazione di libri dal magazzino presente nel complesso e all’evidenza che tali comportamenti erano ancora in corso, rendendo la situazione insostenibile, l’Università ha provveduto ad allertare il 113, come da preciso dovere di ogni pubblico ufficiale, senza sollecitare azioni di forza. Non appena venuto a conoscenza del precipitare della situazione, il rettore ha contattato il questore ed ha invitato due dei suoi prorettori a recarsi presso l’ex-GEA per cercare di evitare ulteriori degenerazioni.
La presenza dei libri all'interno del complesso ex-GEA è dovuta al fatto che tale sede è utilizzata come magazzino della Pisa University Press, la casa editrice dell’Ateneo, con una regolare movimentazione tipica dell’attività di un'azienda di questo tipo. Una parte minoritaria dei volumi è invece di proprietà della Regione Toscana ed è in attesa di riconsegna. Non c’è, dunque, alcun mistero sulle migliaia di testi presenti nella sede dell’ex-GEA, dove vi è un magazzino in piena funzione e non "un deposito clandestino di libri in condizioni di abbandono", come è stato ripetutamente sostenuto e ripreso anche dalla stampa.
La vicenda dell'occupazione dell'ex-GEA, con tutti i suoi sviluppi negativi, lungi dall’avere un nesso con la battaglia contro la revisione dei parametri ISEE, rischia di distogliere l'attenzione pubblica dalle stesse ragioni della protesta, a difesa del diritto allo studio, che vede l'Ateneo attivamente presente accanto agli studenti.