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Il MUR ha predisposto un modello di autocertificazione sullo stato di salute che va presentato alle prove di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato nazionale, insieme al Green Pass.

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Grazie a uno studio nato dalla collaborazione tra l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, i Dipartimenti di Area Medica dell’Università di Pisa e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, è stato sviluppato un sistema robotico impiantabile (il primo al mondo con queste caratteristiche) in grado di infondere insulina a livello intraperitoneale nei pazienti affetti da diabete. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Robotics, apre nuovi scenari nella cura di una patologia che colpisce milioni di persone nel mondo: il dispositivo è composto infatti da un piccolo sistema impiantabile nel corpo umano e interfacciato con l’intestino che funge da pompa per l’insulina, e da pillole ingeribili cariche di insulina in grado di ricaricare il dispositivo quando il serbatoio della pompa si sta esaurendo.

Esperimenti lab robotica medica

Il dispositivo si pone come alternativa alle strategie attualmente impiegate per il controllo della glicemia, basate su iniezioni sottocutanee ripetute o su infusori indossabili. Questo consente di aggirare l’uso di porte di accesso, di cateteri, di aghi e siringhe. Il sistema sviluppato dai ricercatori coordinati da Arianna Menciassi, prorettrice vicaria della Scuola Superiore Sant’Anna, oltre a consentire una terapia localizzata e una infusione fisiologica può essere molto utile per le persone con diabete di tipo 1, in particolare per coloro che devono assumere insulina più volte al giorno.

Foto prototipo high

“Lavoriamo da tempo nella robotica per terapia e chirurgia mini-invasiva – spiega Arianna Menciassi - Abbiamo sviluppato capsule per il monitoraggio gastrointestinale e sistemi magnetici per azionamenti remoti in chirurgia. Nell’ambito di una scuola di dottorato, nacque l’idea di pensare alle capsule come a degli shuttle che potevano rifornire degli organi interni artificiali, così da trattare patologie croniche di estrema rilevanza. Un finanziamento della Regione Toscana ci ha permesso di ottenere questi incoraggianti risultati”.

Robot impiantabili e capsule magnetiche per la cura del diabete

Il robot viene impiantato chirurgicamente a livello addominale nello spazio extraperitoneale e interfacciato all’intestino. Ha le caratteristiche di una pompa in grado di rilasciare insulina con elevata precisione. Quando il serbatoio della pompa va “in riserva”, una pillola ingeribile avrà il compito di rifornirlo attraverso uno speciale sistema di aggancio e trasferimento del farmaco dalla pillola al serbatoio del robot. Le pillole, ingerite normalmente, attraversano il tratto intestinale fino a una zona di “attracco” ricavata in un’ansa dell’intestino. Un meccanismo magnetico si attiva per catturare la capsula, aspirare l’insulina e riempire il serbatoio. A questo punto il meccanismo magnetico si disattiva e la capsula vuota riprende il suo percorso fino alla normale espulsione. In combinazione con un sensore per il glucosio e un algoritmo di controllo, la pompa libererà l’insulina nei tempi e nelle quantità necessarie per una corretta regolazione glicemica, operando così come il primo pancreas artificiale totalmente impiantabile.

Medicina rigenerativa foto di Lab per web

Questo dispositivo è stato denominato PILLSID (PILl-refiLled implanted System for Intraperitoneal Delivery) e, al momento, è stato validato a livello preclinico.

“Questo sistema – spiega Veronica Iacovacci, post-doc dell’Istituto di BioRobotica e prima autrice dello studio - costituisce un significativo passo avanti nel campo dei sistemi robotici totalmente impiantabili e dei dispositivi per il rilascio controllato di farmaci. I risultati ottenuti a livello preclinico sono estremamente incoraggianti e di grande importanza sia dal punto di vista tecnologico che clinico. Un dispositivo di questo tip, potrebbe consentire nel futuro di sviluppare il primo pancreas artificiale totalmente impiantabile e potrebbe essere impiegato anche nel trattamento di altre patologie croniche e acute a carico degli organi intraperitoneali. I prossimi passi per raggiungere la pratica clinica? Riguarderanno un’accurata ingegnerizzazione del sistema, un miglioramento della tenuta stagna dell'impianto e delle interfacce con i tessuti del paziente, e infine una validazione preclinica a lungo termine per valutare i benefici prodotti dal sistema robotico nel trattamento di patologie croniche.”

Il sistema è stato progettato e sviluppato grazie alle competenze di robotica medica e bioingegneria dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Sant’Anna. Il protocollo preclinico, l’impianto del robot e il processo di controllo della glicemia sono frutto dell’intensa collaborazione con i Dipartimenti di Area Medica dell’Università di Pisa e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

“La consolidata collaborazione multidisciplinare tra ingegneri, medici, chirurghi di tre tra le più importanti istituzioni accademiche e assistenziali di Pisa – dichiarano Emanuele Federico Kauffmann e Fabio Vistoli, ricercatori dell’Università di Pisa e chirurghi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, responsabili della validazione preclinica del nuovo dispositivo - ha consentito di giungere rapidamente all’applicazione sperimentale di un dispositivo originale fondato su un principio applicativo potenzialmente utilizzabile in molteplici ambiti clinici al di là di quanto testato nel quadro specifico della cura del diabete mellito. I risultati registrati sono così incoraggianti da far prevedere di poter giungere in tempi altrettanto rapidi, dopo un’ulteriore fase di sviluppo e rifinitura, alla fase di piena applicazione clinica sull’uomo”.

“Quest’anno - commenta Stefano Del Prato, professore del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale della Università di Pisa e Direttore della U.O. di Malattie del Metabolismo e Diabetologia della AOUP, che ha partecipato alla ricerca con il dr. Michele Aragona - corre il centenario della scoperta dell’insulina, una tappa fondamentale nella storia della medicina e una svolta nella cura delle persone con diabete. Però, la terapia con insulina è complessa: richiede multiple iniezioni sottocutanee dell’insulina e un’attenta regolazione delle dosi in base a numerose misurazioni dei livelli di glicemia. Per questo sin dagli albori, la ricerca ha tentato di trovare soluzioni che permettessero una vita più agevole alla persona con diabete e un controllo della malattia più efficace. L’dea di un pancreas artificiale si sviluppò già 50 anni fa e ormai alcuni modelli sono prossimi all’impiego clinico. Ma la collaborazione tra Scuola Superiore Sant’Anna, Ateneo pisano e Azienda Ospedaliera apre, proprio in occasione di questo storico centenario, orizzonti ancor più ampi e promettenti per offrire un futuro migliore alle tante persone con diabete trattato con insulina”.

Dettagli dello studio:
Iacovacci, I. Tamadon, E. F. Kauffmann, S. Pane, V. Simoni, L. Marziale, M. Aragona, L. Cobuccio, M. Chiarugi, P. Dario, S. Del Prato, L. Ricotti, F. Vistoli, A. Menciassi, A fully implantable device for intraperitoneal drug delivery refilled by ingestible capsules, Science Robotics 6, eabh3328 (2021);

Venerdi 27 agosto è venuto a mancare il professor Piero Luigi Ipata, professore Emerito di Biochimica dell'Ateneo pisano e insignito dell'ordine del Cherubino. Le esequie si svolgeranno lunedì 30 agosto a Pisa, presso la Chiesa di Santo Stefano.
Pubblichiamo di seguito il ricordo del professor Ipata scritto dai colleghi, allievi e amici che nel Dipartimento di Biologia lo hanno avuto come compagno di viaggio.

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Ipata

Il professor Piero Luigi Ipata, dal 2004 Professore Emerito di Biochimica presso l’Università di Pisa, insignito dell'Ordine del Cherubino nel 1991, il fautore dell’ingresso della Chimica Biologica in quella che è stata la Facoltà di Scienze dell’Ateneo pisano, scienziato di fama internazionale e amante appassionato della didattica della sua disciplina, la sera del 27 agosto 2021 si è spento circondato dall’affetto dei suoi cari.

Nato a Pescara nel 1932, laureatosi in Medicina e Chirurgia a Roma nel 1957, dopo esperienze all’estero e a Pisa, Perugia e Camerino (ateneo di cui era stato Rettore negli anni 1972-73), era tornato a Pisa, per rimanervi, nel 1974. Con lui scompare un pezzo di storia della biochimica italiana, un campione di disponibilità e tifoso sviscerato dell’istituzione a cui apparteneva. Un uomo sempre pronto a stupirsi del nuovo e che ha avuto la virtù di farsi guidare da ciò che l’evidenza del nuovo indicava, senza pregiudizi o forzature. Uno scienziato che ha insegnato ai suoi allievi il culto del controllo nella sperimentazione e la dedizione all’insegnamento.

Con lui scompare un amico di avventure alla ricerca di segreti che la natura centellina, sempre reticente, a chi si è intestardito a studiarla, un fratello maggiore con cui è stato bello condividere ansie, aspettative, successi e delusioni. Piero ha aspettato con trepidazione, insieme ai coautori del suo ultimo lavoro (siamo nel 2019), il verdetto del referaggio, e ha gioito con loro per il successo con fragorosa intensità, come un giovane ricercatore alle prime armi: così vogliamo ricordarlo.

I biochimici che nel Dipartimento di Biologia lo hanno avuto come compagno di viaggio

In missione di ricerca in alcuni prestigiosi musei europei – tra cui il Rijksmuseum van Oudheden di Leiden, il Musée Art & Histoire di Bruxelles, Ägyptische Museum Georg Steindorff di Leipzig e il Louvre di Parigi – un team di archeologi del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa ha studiato gruppi di figurine in fango o argilla cruda egizie e nubiane, riuscendo a identificare le tracce di lavorazione e le impronte digitali degli autori di queste figurine di fango.

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Lo studio è stato portato avanti nell’ambito del progetto di ricerca “PROCESS - Pharaonic Rescission: Objects as Crucibles of ancient Egyptian Societies”, diretto dal professor Gianluca Miniaci che, insieme a Vanessa Forte e Camilla Saler, ha studiato gruppi di figurine in fango o argilla cruda risalenti all'età del Medio Bronzo in Egitto (2000-1500 a.C.) e provenienti da diversi contesti archeologici egiziani e nubiani.

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“Queste piccole statuette rappresentano soggetti multipli (uomini, animali, nemici da maledire, figure femminili propiziatorie), ma sono tutte accomunate dal materiale povero di cui sono fatte, il fango e l'argilla del Nilo, un materiale considerato "povero" – spiega il professor Gianluca Miniaci – Se infatti di solito l’opinione pubblica è affascinata dai “tesori” dell'antico Egitto, gioielli d'oro, d'argento, intarsiati con lapislazzuli e avorio, statue in alabastro e granito, sarcofagi del prezioso legno di cedro, il fango racchiude al suo interno altri tesori nascosti, che l'archeologo ha il compito di portare alla luce”.

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Grazie all’utilizzo di un microscopio portatile Dinolite e la modellazione fotogrammetrica 3D, sono state identificate le tracce di lavorazione, uso e perfino le impronte digitali delle persone che avevano forgiato e usato queste figurine di fango. Chi erano coloro che le avevano forgiate e perché? “Grazie al progetto PROCESS stiamo recuperando quei segni quasi invisibili che invece gettano luce proprio sull'identità delle persone meno note dell'antico Egitto, come gli artigiani e gli abitanti dei villaggi, individui comuni troppe volte ignorati dalla storia dei grandi eventi – aggiunge Miniaci – Inoltre, lo studio di queste figurine sta rivelando fondamentali informazioni sulle credenze, i comportamenti e le aspettative dei comuni abitanti dell'antico Egitto, spesso oscurate dalle solenni dottrine professate dei faraoni e dagli alti funzionari”.

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L’organizzazione e lo svolgimento del progetto sono stati possibili grazie alla collaborazione del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e ai finanziamenti dell’ambito dello schema PRIN 2017 del MIUR.

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