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Già a quattro settimane di vita, le aree del cervello del neonato che presiedono all'analisi della visione del movimento sono mature e simili a quelle dell'adulto. Questo è il risultato straordinario di una ricerca scientifica sull'evoluzione delle aree cerebrali coinvolte nella visione nei neonati appena nati, iniziata 15 anni fa e destinata ad aprire scenari sempre nuovi.

Lo studio, intitolato "Development of BOLD response to motion in human infants" e pubblicato in questi giorni sulla prestigiosa rivista internazionale Journal of Neuroscience, è stato condotto dal team di ricercatrici italiane composto dalle dott.sse Laura Biagi, Michela Tosetti (Laboratorio di fisica medica e risonanza magnetica dell'IRCCS Stella Maris di Pisa), Sofia Allegra Crespi (Dipartimento di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e coordinato dalla professoressa Maria Concetta Morrone (Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell'Università di Pisa).

Lo studio dimostra, abbassando ulteriormente il limite di età di sviluppo di queste aree cerebrali, come a quattro settimane dalla nascita siano già mature e non, come si pensava in precedenza, si sviluppino successivamente grazie alle interazioni che il neonato ha con il mondo esterno.

"Comprendere la parcellizzazione delle aree cerebrali nei neonati e come queste maturino nelle prime settimane di vita ha importanti implicazioni cliniche” - commenta il team di ricerca tutto al femminile - "Ad esempio, può aiutare a prevedere le conseguenze di un danno perinatale e il suo esito, nonché a guidare i medici verso nuovi approcci riabilitativi più specifici ed efficaci se realizzati durante determinate finestre temporali dello sviluppo".

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Il progetto di ricerca
La ricerca ha preso il via nel 2008 e ha prodotto la sua prima pubblicazione nel 2015 su PLOS Biology, dimostrando per la prima volta che le aree cerebrali della visione erano già formate e simili a quelle di una persona adulta già a 7 settimane di vita. Questo primo lavoro ha anche prodotto le prime mappe della funzione corticale visiva dei neonati. Nella presente ricerca, il team ha deciso di estendere i propri studi a neonati ancora più giovani, a partire dalle 4 settimane di età.

Il team di ricercatrici ha utilizzato la Risonanza Magnetica funzionale per registrare l'attività cerebrale dei neonati mentre osservavano stimoli visivi. Una scelta che si è dimostrata di grande rilevanza per la riuscita dello studio, anche se è stata una sfida la gestione di bambini così piccoli, da mantenere svegli, collaborativi e impegnati attivamente nell’osservazione degli stimoli visivi in un ambiente non facile come quello della Risonanza Magnetica. I neonati, rassicurati dalla presenza e dal contatto con la mamma, seguivano con lo sguardo, su uno schermo, dei punti luminosi che si muovevano in modo casuale o in traiettorie coerenti.

I risultati
I risultati dello studio hanno dimostrato che, proprio come negli adulti e nei neonati più grandi, anche i bambini di 4 settimane di età mostrano maggiori risposte al movimento coerente rispetto a quello casuale in un'ampia rete di aree cerebrali, comprese quelle associate alla percezione del corpo e al sistema vestibolare.
Il team ha incluso nella ricerca circa 20 bambini, di cui 12 pubblicati nel primo lavoro e altri 8 soggetti inclusi in questo secondo lavoro con i neonati più piccoli.

Anche in questa nuova avventura le ricercatrici sono riuscite a dimostrare che a questa età molto precoce, le principali aree corticali associative deputate alla percezione del movimento sono delineate e rispondono a stimoli visivi di movimento.

Link a progetto di ricerca:
https://www.jneurosci.org/content/early/2023/03/30/JNEUROSCI.0837-22.2023

 

Fonte: Ufficio Stampa IRCCS Fondazione Stella Maris

Read more: https://www.unipi.it/index.php/english-news/item/25614-eight-students-from-the-university-of-pisa-went-to-brussels-for-the-first-circle-u-model-united-nations-mun

Leggi la notizia: https://www.unipi.it/index.php/news/item/25557-otto-studenti-dell-universita-di-pisa-a-bruxelles-per-il-primo-model-united-nations-mun-di-circle-u

La prima indagine sulla qualità dei funghi medicinali commercializzati in Italia ha rivelato delle criticità sui micoterapici venduti sotto forma di integratori. La notizia arriva da uno studio pubblicato su Nutrients, una delle riviste scientifiche al più importati del settore nutrizione e dietetica, e condotto dalle università di Pisa, Bari, Bologna, Palermo e Torino insieme all’Azienda ospedaliera-universitaria pisana.
La ricerca, condotta nell’arco di un biennio con le più aggiornate tecnologie analitiche, ha posto in luce diverse importanti non conformità nei 19 prodotti analizzati. Alcuni preparati infatti contenevano una specie fungina diversa da quella indicata in etichetta; altri erano contaminati da micotossine con livelli superiori a quelli di legge; in altri casi, micoterapici della stessa tipologia hanno rivelato una concentrazione di principi attivi molto diversa, compromettendo l’efficacia terapeutica dei prodotti.

“La maggior parte dei problemi riscontrati sono riconducibili al fatto che la coltivazione industriale di questi funghi con proprietà farmacologiche avviene in aree geografiche, come ad esempio la Cina, ancora caratterizzate da basso livello di qualità nei processi manifatturieri – spiega la professoressa Cristina Nali dell’Università di Pisa – e tuttavia anche il controllo esercitato dagli importatori europei non appare del tutto efficace”.
“In definitiva – continua Nali - la nostra ricerca ha messo in evidenza la necessità di una regolamentazione internazionale aggiornata e condivisa tra comunità scientifica ed enti di controllo, basata anche su opportuni programmi di monitoraggio della qualità dei materiali reperibili sul mercato. Il tutto al fine di proteggere la salute del consumatore e dare vita a forme di commercio strettamente vigilate”.

“La necessità di maggiori controlli si lega alla sempre maggiore diffusione della ‘micoterapia’ (letteralmente «cura con i funghi») che integra le terapie tradizionali in diversi campi clinici – ha sottolineato Giuseppe Venturella, Presidente della Società Italiana Funghi Medicinali - anche attraverso le collaborazioni con vari gruppi di ricerca universitari, vengano portati avanti studi finalizzati a fornire alle aziende prodotti micoterapici "made in Italy" realizzati attraverso l'attivazione di filiere certificate”

“Seppur i funghi macroscopici siano utilizzati da millenni nelle medicine popolari di vaste aree del pianeta, solo negli ultimi decenni la letteratura scientifica ne ha avvalorato le incredibili proprietà, che includono la stimolazione delle difese immunitarie, le capacità ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti, antipertensive, antimicrobiche, antinfiammatorie, antitumorali, neuro e osteo protettive”, ha detto Filippo Bosco, dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

E sempre su questo tema nel novembre 2022 si è svolto all’Università di Pisa il Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali, l’associazione scientifica costituita da studiosi interessati a promuovere, appunto, la conoscenza, la ricerca e la diffusione dei funghi medicinali, dei loro effetti sulla salute dell’uomo e le applicazioni in campo medico.

“È stato un fertile momento di confronto, dal quale sono emerse alcune priorità, a cominciare dalla esigenza di assicurare un costante e serio monitoraggio della qualità dei formulati micoterapici - conclude Nali - Infatti, la presenza di contaminanti, come metalli pesanti e micotossine, oppure biologici, come microorganismi patogeni, nonché la mancanza di informazioni in merito alla purezza genetica del materiale presente nei formulati commerciali sono tutti fattori preoccupanti connessi con il fatto che la produzione industriale dei microfunghi è concentrata in regioni orientali carenti dal punto di vista della qualità manifatturiera”.

Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio pubblicato su Nutrients è composto da Samuele Risoli, Cristina Nali e Sabrina Sarrocco, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e del Centro Nutrafood dell’Università di Pisa; Arrigo Francesco Giuseppe Cicero, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Alessandro Colletti, Dipartimento di Scienze e Tecnologie del Farmaco, Università degli Studi di Torino; Filippo Bosco, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; Giuseppe Venturella, Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università degli Studi di Palermo; Agata Gadaleta, Maria Letizia Gargano e Ilaria Marcotulli, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari.

Il rapporto tra imprese e diritti umani, come viene esplicitato nei Principi Guida delle Nazioni Unite su Impresa e Diritti Umani, sarà il tema al centro dell’incontro che si terrà giovedì 13 aprile, alle ore 14, al Polo didattico delle Piagge. Relatrice è la professoressa Andrea Shemberg, presidente del Global Business Initiative on Human Rights (GBI) ed esperta di rilievo internazionale su questi argomenti, da anni impegnata a seguire i percorsi delle imprese nell’implementazione dei Principi Guida delle Nazioni Unite.

Il suo seminario, dal titolo “Facilitating firms to implement the UN Guiding Principles on Business and Human Rights: Views from practice”, fa parte della serie “Talks on rebalancing democracy and capitalism” (“Colloqui sul riequilibrio tra democrazia e capitalismo”), organizzata dalla professoressa Elisa Giuliani, direttrice del Responsible Management Research Center (REMARC) e docente del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, in qualità di coordinatrice del progetto Horizon Europe REBALANCE.

I Principi Guida delle Nazioni Unite, adottati nel 2011 e diventati lo standard di riferimento globale in relazione al rapporto tra imprese e diritti umani, sanciscono la responsabilità delle imprese nel rispetto dei diritti umani. Per adempiere a questo dovere, le imprese sono chiamate a dotarsi tanto di politiche quanto di processi adeguati, tra cui fare uso di due diligence per identificare, prevenire e mitigare i propri impatti negativi e per rendere conto di come tali impatti vengono affrontati.

Ma cosa significa esattamente due diligence sui diritti umani? Sebbene il principio operativo di due diligence sia familiare alle imprese come strumento di gestione del rischio, soprattutto di natura finanziaria, un recente studio della Commissione Europea ha rilevato che all’interno dell’Unione Europea solo un’impresa su tre attualmente effettua una due diligence che tiene conto degli impatti sociali e sull’ambiente causati dalle operazioni aziendali.

Nel 2022 la Commissione Europea ha presentato la proposta di una direttiva sulla due diligence d'impresa in materia di sostenibilità, la Corporate Sustainability Due Diligence, che mira a promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile lungo le catene del valore globali, e sulla base della quale le imprese saranno tenute a identificare e, ove necessario, prevenire, porre fine o mitigare gli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull'ambiente. Per le imprese queste nuove norme porteranno certezza del diritto e parità di condizioni. Per i consumatori e gli investitori forniranno maggiore trasparenza.

Durante il seminario, Andrea Shemberg illustrerà l’approccio peer-learning tra imprese portato avanti da GBI. Questo approccio cattura bene l’ambizione del professor John Ruggie, il principale artefice dei Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, di fare della due diligence uno strumento di apprendimento continuo e continuativo per le imprese e, per questo, dai contenuti in continua evoluzione. Nell’ambito del lavoro della professoressa Shemberg, per esempio, l’attenzione tanto ai processi normativi in corso, quanto all’attualità e ai cambiamenti nelle operazioni delle imprese ha condotto recentemente a focalizzarsi su un’area nuova: i processi di due diligence lungo l’intera catena del valore, piuttosto che esclusivamente nella catena di approvvigionamento.

“Concretamente – dice la professoressa Elisa Giuliani - ciò significa interessarsi al rischio in materia di diritti umani legato alla vendita di servizi e prodotti: basti pensare, per esempio, alla vendita di tecnologie digitali usate per fini lesivi delle libertà individuali. Su questi temi, l’approccio di peer learning consente di oltrepassare il problema della opacità delle pratiche delle imprese, nonché della competizione tra esse rispetto alla divulgazione di processi interni e rischi con potenziali impatti in termini reputazionali”.

Andrea Shemberg condividerà la sua esperienza concreta in questo ambito, accennando anche alle difficoltà poste dalle molteplici crisi degli ultimi anni – dalla pandemia alla guerra in Ucraina, alla emergenza climatica. Il seminario offrirà l’occasione di riflettere su come investire in due diligence sui diritti umani e ambientali risponda non soltanto a un dovere etico e giuridico delle imprese, ma anche ad una scelta strategica volta a garantire competitività e sostenibilità nel lungo termine.

Il seminario sarà in lingua inglese e sarà possibile seguirlo anche online. Maggiori informazioni sono disponibili alla pagina: https://rebalanceproject.org/events/facilitating-firms-to-implement-the-un-guiding-principles/

 

Si è concluso ed è stato pubblicato sul sito di ARPAT lo studio relativo alla caratterizzazione del KEU - un residuo di produzione derivante dal trattamento dei fanghi prodotti dagli scarti della concia delle pelli -, svolto nell’ambito della convenzione stipulata tra Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa ed ARPAT.

L’approccio multidisciplinare, coordinato dal Dipartimento di Scienze della Terra, ha visto la partecipazione del gruppo Thermolab del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Ateneo pisano, dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici (ICCOM-CNR) ed il coinvolgimento di Elettra (Trieste) e SESAME (Allan, Giordania) sincrotrone.

 

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 Lo studio ha previsto l’analisi microstrutturale del KEU e lo studio delle sue proprietà di rilascio di cromo esavalente attraverso esperimenti in camere di invecchiamento. Le indagini hanno permesso di definire un possibile scenario sui processi che portano alla ossidazione del Cromo trivalente Cr(III) a Cromo esavalente Cr(VI).

In particolare, l’utilizzo della microscopia elettronica in trasmissione, diffrazione elettronica e analisi chimica su campioni di materiale, attraverso l’impego del microscopio elettronico HR-FEG-TEM del Centro per l'Integrazione della Strumentazione scientifica dell'Università di Pisa (CISUP), ha permesso di identificare le principali fasi responsabili dei fenomeni di ossidazione del cromo.

IGabriella_Fontanini_tv.jpgmportante risultato a Pisa sui nuovi approcci diagnostici molecolari per la diagnosi differenziale del mesotelioma pleurico, una delle neoplasie toraciche più rare e aggressive correlata all’esposizione all’amianto: il gruppo guidato da Gabriella Fontanini (foto), professore ordinario di Anatomia patologica all’Università di Pisa nonché responsabile in Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Aoup) del Programma interdipartimentale di patologia pleuro-polmonare e del Centro clinico toracico, parteciperà infatti, con una comunicazione in sessione plenaria, alla sedicesima conferenza mondiale dell’International Mesothelioma Interest Group (IMIG) a Lille-Francia, dal 26 al 28 giugno prossimi.
La comunicazione, dal titolo “Prospective validation of a gene expression approach for the cytological diagnosis of epithelioid, biphasic mesothelioma and mesothelial hyperplasia”, illustrerà i risultati che hanno condotto alla definizione di un nuovo pannello di espressione genica e di un sistema di classificazione molecolare in grado di discriminare i mesoteliomi dalle lesioni pleuriche benigne, sia su tessuto che su liquido pleurico, con una performance migliore rispetto a quella dei marcatori diagnostici convenzionali.
Lo studio - che verrà presentato dalla dottoressa Rossella Bruno nella sessione dedicata alla diagnosi patologica del mesotelioma pleurico e che vedrà coinvolti alcuni tra i massimi esperti mondiali del settore diagnostico - illustrerà l’efficacia del nuovo pannello (valutato con la tecnologia nCounter NanoString) nella diagnosi citologica su liquido pleurico non solo del mesotelioma pleurico epiteliomorfo (istotipo più frequente) ma anche del bifasico (istotipo meno frequente e di più difficile gestione).
Si tratta di un’importante riconferma per la professoressa Fontanini e i suoi collaboratori (le dottoresse Greta Alì e Rossella Bruno e il dottor Anello Marcello Poma), che hanno partecipato con comunicazioni orali a tutte le ultime conferenze mondiali dell’IMIG: IMIG2016 – Birmingham, Regno Unito; IMIG2018 - Ottawa, Canada; IMIG2020/2021 – Brisbane, Australia.
Da anni, infatti, il gruppo studia gli approcci diagnostici molecolari utili nella difficile diagnosi differenziale tra mesoteliomi pleurici ed iperplasie mesoteliali (lesioni benigne della pleura che spesso accompagnano patologie polmonari di natura infiammatoria). Le effusioni pleuriche sono tra le prime manifestazioni cliniche del mesotelioma e costituiscono spesso l’unico materiale diagnostico disponibile. Il pannello genico sviluppato, dunque, potrebbe consentire di definire più rapidamente, in maniera poco invasiva, un quadro patologico complesso migliorando la gestione dei pazienti, soprattutto nel caso delle lesioni maligne.
Questo progetto ha ricevuto negli anni anche diversi riconoscimenti internazionali: uno Young Investigator Award, conferito nel corso della conferenza mondiale IMIG2016, e due grants conferiti rispettivamente da Nanostring Technology e dalla Kazan McClain Partners’ Foundation.
Fondamentale, per la buona riuscita del progetto, è stata la collaborazione con altri professionisti dell’Aoup tra cui la professoressa Franca Melfi, il professore Marco Lucchi, il dottor Alessandro Ribechini e il dottor Antonio Chella. Attiva collaborazione è stata fornita anche da altri gruppi italiani come quello dell’Unità Mesotelioma dell’Ospedale di Alessandria, guidato dalla dottoressa Federica Grosso. E il gruppo del professore Renato Franco dell’Unità operativa di Anatomia patologica del dipartimento di salute mentale e fisica e medicina preventiva dell’Università della Campania, Luigi Vanvitelli (fonte: ufficio stampa Aoup, edm).

 

La prima indagine sulla qualità dei funghi medicinali commercializzati in Italia ha rivelato delle criticità sui micoterapici venduti sotto forma di integratori. La notizia arriva da uno studio pubblicato su Nutrients, una delle riviste scientifiche al più importati del settore nutrizione e dietetica, e condotto dalle università di Pisa, Bari, Bologna, Palermo e Torino insieme all’Azienda ospedaliera-universitaria pisana.
La ricerca, condotta nell’arco di un biennio con le più aggiornate tecnologie analitiche, ha posto in luce diverse importanti non conformità nei 19 prodotti analizzati. Alcuni preparati infatti contenevano una specie fungina diversa da quella indicata in etichetta; altri erano contaminati da micotossine con livelli superiori a quelli di legge; in altri casi, micoterapici della stessa tipologia hanno rivelato una concentrazione di principi attivi molto diversa, compromettendo l’efficacia terapeutica dei prodotti.

“La maggior parte dei problemi riscontrati sono riconducibili al fatto che la coltivazione industriale di questi funghi con proprietà farmacologiche avviene in aree geografiche, come ad esempio la Cina, ancora caratterizzate da basso livello di qualità nei processi manifatturieri – spiega la professoressa Cristina Nali dell’Università di Pisa – e tuttavia anche il controllo esercitato dagli importatori europei non appare del tutto efficace”.
“In definitiva – continua Nali - la nostra ricerca ha messo in evidenza la necessità di una regolamentazione internazionale aggiornata e condivisa tra comunità scientifica ed enti di controllo, basata anche su opportuni programmi di monitoraggio della qualità dei materiali reperibili sul mercato. Il tutto al fine di proteggere la salute del consumatore e dare vita a forme di commercio strettamente vigilate”.

“La necessità di maggiori controlli si lega alla sempre maggiore diffusione della ‘micoterapia’ (letteralmente «cura con i funghi») che integra le terapie tradizionali in diversi campi clinici – ha sottolineato Giuseppe Venturella, Presidente della Società Italiana Funghi Medicinali - anche attraverso le collaborazioni con vari gruppi di ricerca universitari, vengano portati avanti studi finalizzati a fornire alle aziende prodotti micoterapici "made in Italy" realizzati attraverso l'attivazione di filiere certificate”.

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Foto del Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali (da sinistra verso destra): la Dott.ssa Florencia Abadia (Buenos Aires), l’artista Greg Mancino (autore delle opere utilizzate nelle grafiche del congresso), la Prof.ssa Paola Rossi (Unipv), il Dott. Marco Brancaleoni (Cesena), la Prof.ssa Cristina Nali (Unipi), la Dott.ssa Romina Alessandri (rivista Medicina Integrata), la Prof.ssa Sabrina Sarrocco (Unipi), il Dott. Filippo Bosco (AOUP, Pisa).

“Seppur i funghi macroscopici siano utilizzati da millenni nelle medicine popolari di vaste aree del pianeta, solo negli ultimi decenni la letteratura scientifica ne ha avvalorato le incredibili proprietà, che includono la stimolazione delle difese immunitarie, le capacità ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti, antipertensive, antimicrobiche, antinfiammatorie, antitumorali, neuro e osteo protettive”, ha detto Filippo Bosco, dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

E sempre su questo tema nel novembre 2022 si è svolto all’Università di Pisa il Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali, l’associazione scientifica costituita da studiosi interessati a promuovere, appunto, la conoscenza, la ricerca e la diffusione dei funghi medicinali, dei loro effetti sulla salute dell’uomo e le applicazioni in campo medico.

“È stato un fertile momento di confronto, dal quale sono emerse alcune priorità, a cominciare dalla esigenza di assicurare un costante e serio monitoraggio della qualità dei formulati micoterapici - conclude Nali - Infatti, la presenza di contaminanti, come metalli pesanti e micotossine, oppure biologici, come microorganismi patogeni, nonché la mancanza di informazioni in merito alla purezza genetica del materiale presente nei formulati commerciali sono tutti fattori preoccupanti connessi con il fatto che la produzione industriale dei microfunghi è concentrata in regioni orientali carenti dal punto di vista della qualità manifatturiera”.

Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio pubblicato su Nutrients è composto da Samuele Risoli, Cristina Nali e Sabrina Sarrocco, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e del Centro Nutrafood dell’Università di Pisa; Arrigo Francesco Giuseppe Cicero, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Alessandro Colletti, Dipartimento di Scienze e Tecnologie del Farmaco, Università degli Studi di Torino; Filippo Bosco, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; Giuseppe Venturella, Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università degli Studi di Palermo; Agata Gadaleta, Maria Letizia Gargano e Ilaria Marcotulli, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari.

Sono otto gli studenti dell’Università di Pisa che hanno preso parte a Bruxelles al primo Model United Nations (MUN) promosso da Circle U., l’Alleanza universitaria che riunisce gli atenei di Aarhus, Belgrado, Berlino, Louvain, Oslo, Paris Cité, Pisa, Vienna e King’s College di Londra. La delegazione pisana, formata da Monia Mannucci, Francesca Rosa, Aurora Matteo, Giulia Nardini, Lidia Trombello, Fabiana Marà, Agata Merian Bernacca e Leonardo Baldacci, ha partecipato a una simulazione delle Nazioni Unite sul tema “Educazione sostenibile - pensare e creare il futuro dell'istruzione superiore”. Insieme ai circa 80 partecipanti arrivati da tutta Europa, hanno assunto il ruolo di delegati e delegate dell'ONU, rappresentando gli Stati Membri assegnati, discutendo, dibattendo e cercando di risolvere alcuni dei problemi più urgenti del mondo.

“Partecipare a un Model United Nations è stata un’esperienza estremamente preziosa e formativa, resa ancor più speciale grazie alla cornice unica di Bruxelles, città sede di importanti istituzioni dell'Unione Europea e dunque luogo ideale per discutere di politica internazionale – hanno raccontato al loro rientro – Potersi immedesimare nel ruolo di diplomatici è stata l’occasione perfetta per poter migliorare le proprie competenze relazionali e di negoziazione, acquisendo una maggiore consapevolezza delle complessità dei processi decisionali a livello internazionale”.

Durante i quattro giorni di lavori, i delegati e le delegate hanno avuto l’opportunità di discutere soluzioni efficaci e funzionali relative alla diffusione in scala globale dell’istruzione sostenibile. Ognuno di loro faceva parte di un Comitato (UNESCO, UNEP, WHO, Consiglio di Sicurezza, Consiglio europeo), all’interno del quale hanno avuto modo di fare da portavoce per gli interessi del Paese rappresentato, trattando sotto-argomenti specifici per ciascun settore. “Lavorare insieme a studenti provenienti da tutta Europa ci ha fornito anche l'occasione di arricchire il nostro bagaglio culturale, migliorare le competenze linguistiche e stringere una rete di contatti per esperienze future – concludono - Ringraziamo il comitato organizzativo del Circle U. MUN per aver reso possibile questo evento, nonché tutti i delegati provenienti dai diversi atenei dell’alleanza Circle U.”.

 

La notizia completa con il racconto dei delegati a questo link.

 

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Didascalie foto:

Foto 1: Il gruppo di delegati e delegate di Unipi, da sinistra: Francesca Rosa, Agata Merian Bernacca, Lidia Trombello, Aurora Matteo, Monia Mannucci, Fabiana Marà, Leonardo Baldacci, Giulia Nardini.

 

Foto 2: Il gruppo di delegati e delegate di Unipi sullo sfondo di Bruxelles, da sinistra Lidia Trombello, Francesca Rosa, Leonardo Baldacci, Giulia Nardini, Aurora Matteo, Agata Merian Bernacca, Monia Mannucci, Fabiana Marà.

 

Foto 3: Foto di gruppo di alcune delegazioni internazionali

Il rapporto tra imprese e diritti umani, come viene esplicitato nei Principi Guida delle Nazioni Unite su Impresa e Diritti Umani, sarà il tema al centro dell’incontro che si terrà giovedì 13 aprile, alle ore 14, al Polo didattico delle Piagge. Relatrice è la professoressa Andrea Shemberg, presidente del Global Business Initiative on Human Rights (GBI) ed esperta di rilievo internazionale su questi argomenti, da anni impegnata a seguire i percorsi delle imprese nell’implementazione dei Principi Guida delle Nazioni Unite.

Il suo seminario, dal titolo “Facilitating firms to implement the UN Guiding Principles on Business and Human Rights: Views from practice”, fa parte della serie “Talks on rebalancing democracy and capitalism” (“Colloqui sul riequilibrio tra democrazia e capitalismo”), organizzata dalla professoressa Elisa Giuliani, direttrice del Responsible Management Research Center (REMARC) e docente del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, in qualità di coordinatrice del progetto Horizon Europe REBALANCE.

I Principi Guida delle Nazioni Unite, adottati nel 2011 e diventati lo standard di riferimento globale in relazione al rapporto tra imprese e diritti umani, sanciscono la responsabilità delle imprese nel rispetto dei diritti umani. Per adempiere a questo dovere, le imprese sono chiamate a dotarsi tanto di politiche quanto di processi adeguati, tra cui fare uso di due diligence per identificare, prevenire e mitigare i propri impatti negativi e per rendere conto di come tali impatti vengono affrontati.

Ma cosa significa esattamente due diligence sui diritti umani? Sebbene il principio operativo di due diligence sia familiare alle imprese come strumento di gestione del rischio, soprattutto di natura finanziaria, un recente studio della Commissione Europea ha rilevato che all’interno dell’Unione Europea solo un’impresa su tre attualmente effettua una due diligence che tiene conto degli impatti sociali e sull’ambiente causati dalle operazioni aziendali.

Nel 2022 la Commissione Europea ha presentato la proposta di una direttiva sulla due diligence d'impresa in materia di sostenibilità, la Corporate Sustainability Due Diligence, che mira a promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile lungo le catene del valore globali, e sulla base della quale le imprese saranno tenute a identificare e, ove necessario, prevenire, porre fine o mitigare gli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull'ambiente. Per le imprese queste nuove norme porteranno certezza del diritto e parità di condizioni. Per i consumatori e gli investitori forniranno maggiore trasparenza.

Durante il seminario, Andrea Shemberg illustrerà l’approccio peer-learning tra imprese portato avanti da GBI. Questo approccio cattura bene l’ambizione del professor John Ruggie, il principale artefice dei Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, di fare della due diligence uno strumento di apprendimento continuo e continuativo per le imprese e, per questo, dai contenuti in continua evoluzione. Nell’ambito del lavoro della professoressa Shemberg, per esempio, l’attenzione tanto ai processi normativi in corso, quanto all’attualità e ai cambiamenti nelle operazioni delle imprese ha condotto recentemente a focalizzarsi su un’area nuova: i processi di due diligence lungo l’intera catena del valore, piuttosto che esclusivamente nella catena di approvvigionamento.

“Concretamente – dice la professoressa Elisa Giuliani - ciò significa interessarsi al rischio in materia di diritti umani legato alla vendita di servizi e prodotti: basti pensare, per esempio, alla vendita di tecnologie digitali usate per fini lesivi delle libertà individuali. Su questi temi, l’approccio di peer learning consente di oltrepassare il problema della opacità delle pratiche delle imprese, nonché della competizione tra esse rispetto alla divulgazione di processi interni e rischi con potenziali impatti in termini reputazionali”.

Andrea Shemberg condividerà la sua esperienza concreta in questo ambito, accennando anche alle difficoltà poste dalle molteplici crisi degli ultimi anni – dalla pandemia alla guerra in Ucraina, alla emergenza climatica. Il seminario offrirà l’occasione di riflettere su come investire in due diligence sui diritti umani e ambientali risponda non soltanto a un dovere etico e giuridico delle imprese, ma anche ad una scelta strategica volta a garantire competitività e sostenibilità nel lungo termine.

Il seminario sarà in lingua inglese e sarà possibile seguirlo anche online. Maggiori informazioni sono disponibili alla pagina: https://rebalanceproject.org/events/facilitating-firms-to-implement-the-un-guiding-principles/

 

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