Malattie degenerative della retina: individuata fase critica nel percorso differenziativo dei fotorecettori
I fotorecettori della retina, le cellule dell’occhio che funzionano come sensori della luce, sviluppano le loro forme e funzioni specifiche sulla base di istruzioni ricevute al momento della loro generazione da cellule staminali multipotenti. Uno studio condotto dai ricercatori di Università di Pisa e Scuola Superiore Sant’Anna ha tuttavia mostrato che, se durante un limitato intervallo temporale successivo all’iniziale assegnazione del loro destino, non ricevono dall’ambiente segnali specifici di tipo sia fisico che chimico, allora svilupperanno caratteristiche ibride tra fotorecettori e cellule gliali. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Scientific Reports in un articolo intitolato “Increasing cell culture density during a developmental window prevents fated rod precursors derailment toward hybrid rod-glia cells”, con autori il professor Massimiliano Andreazzoli e il Dr. Giovanni Signore (Dipartimento di Biologia, UniPi), il professor Gian Carlo Demontis (Dipartimento di Farmacia, UniPi) e la professoressa Debora Angeloni (Scuola Sant’Anna).
Il gruppo di ricerca pisano: da sinistra, il professor Massimiliano Andreazzoli, il professor Gian Carlo Demontis, il dottor Giovanni Signore, la professoressa Debora Angeloni, la dottoressa Chiara De Cesari e il dottor Davide Martini. Del gruppo fa parte anche la dottoressa Ivana Barravecchia (foto in basso), prima autrice dell'articolo, attualmente negli Stati Uniti.
Lo studio era volto a comprendere le ragioni per cui, nei modelli preclinici di terapie sostitutive di malattie degenerative della retina, la maggior parte delle cellule trapiantate non riescono a integrarsi nella retina del ricevente per sostituire efficacemente le cellule degenerate: “Conoscere i meccanismi di plasticità del destino cellulare dei fotorecettori è importante per sviluppare terapie sostitutive per le patologie degenerative della retina – commentano i ricercatori – Le tecnologie delle cellule staminali umane inducibili e dell’editing del DNA permettono di generare precursori dei bastoncelli umani per sostituire le cellule degenerate. Ecco dunque che l’individuazione di segnali necessari ai precursori immaturi dei fotorecettori per mantenere il loro destino dopo l’isolamento dalla retina rappresenta un passo rilevante per migliorare l’efficienza dei trapianti come terapia sostitutiva per le patologie degenerative retiniche”.
La dottoressa Ivana Barravecchia, prima autrice dell'articolo, attualmente negli Stati Uniti.
Lo studio si colloca nell’ambito di un progetto più ampio coordinato dal Dr. Vania Broccoli (Istituto Neurofisiologia del CNR e HSan Raffaele) e finanziato dalla Fondazione Roma. È partito nel 2016 ed è nato dall’interesse del professor Andreazzoli verso i meccanismi di genetica molecolare dello sviluppo della retina, del professor Demontis verso la funzionalità elettrofisiologica dei fotorecettori e della professoressa Angeloni verso i meccanismi di meccanotrasduzione cellulare.
“Abbiamo confrontato il profilo trascrizionale dei precursori dei bastoncelli tra il momento in cui la genesi dei precursori è in larga parte completa e quello in cui avviene l’espressione delle caratteristiche funzionali specifiche di bastoncelli adulti – spiegano i ricercatori – Un aspetto del tutto inatteso di questo studio è stata l’osservazione che i precursori dei bastoncelli esprimono sia i geni pertinenti al loro programma di sviluppo che quelli rilevanti per lo sviluppo di un tipo cellulare gliale, ovvero non neuronale. L’approccio risolutivo è stato quello di misurare l’espressione mediante la tecnica della quantitative real time polymerase chain reaction (qRT-PCR) di geni specifici in singole cellule identificate sia dal punto di vista molecolare che funzionale, e confrontare l’effetto sull’espressione genica di fattori ambientali, quali la densità delle colture cellulari (numero di cellule per unità di superficie). Abbiamo osservato come l’aumento della densità cellulare sia estremamente efficace nel ridurre l’espressione dei geni importanti per lo sviluppo di caratteristiche gliali e prevenire lo sviluppo di caratteristiche funzionali ibride tra bastoncelli e glia. I segnali associati alla densità cellulare delle colture sono specifici, in quanto l’espressione di geni sensibili al livello di ossigeno nell’ambiente, non viene modificata dalla variazione della densità cellulare delle colture”.
Proiettando i risultati verso future applicazioni, i ricercatori suggeriscono che un interessante sviluppo sia la possibilità di utilizzare microimpalcature per fornire ai precursori trapiantati i segnali meccanici necessari a mantenerne l’identità prevenendo la sviluppo di caratteristiche ibride.
L’immagine mostra 2 precursori dei bastoncelli retinici, riconoscibili dalla espressione di una proteina fluorescente verde (GFP), coltivati a 2 diverse densità (cellule per unità di superficie - 1x e 4x). L’espressione di un gene di immaturità (Kit – indicato dal colore rosso), persiste nel precursore coltivato alla densità minore (1x), mentre scompare nel precursore coltivato alla densità maggiore (4x). Il nucleo delle cellule è colorato in blu.
Pisa: 30 anni fa la prima pagina web pubblicata in Italia
Il 1993 era iniziato da poco quando sullo schermo di un PC/Unix dell’Università di Pisa fu visualizzata la prima pagina web messa online in Italia. Una schermata rudimentale – testo, immagini e qualche elemento di grafica – che segnò l’approdo del nostro Paese nel world wide web nato meno di due anni prima.
A rendere possibile quell’impresa, la creazione del primo server web italiano, nato esattamente 30 anni fa e realizzato a partire dal codice (ancora in versione BETA) che lo stesso Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, aveva regalato a Maurizio Davini, all’epoca giovanissimo studente in fisica e oggi CTO del Green Data Center di Ateneo. All’impresa parteciparono, Stefano Suin, informatico e oggi dirigente della Direzione infrastrutture digitali Unipi; e l’economista Paolo Caturegli, insieme ad altri docenti dell'Università di Pisa. Pionieri, la cui curiosità e voglia di sperimentare diede vita, in quegli anni, ad una serie di progetti informatici che collocherà l’Università di Pisa all'avanguardia in Italia e in Europa nello sviluppo del web.
“Il mio incontro con Berners-Lee avvenne alla fine del 1992 al Centro di Calcolo del CERN di Ginevra – racconta Maurizio Davini – Ero lì per vedere come funzionava la sua workstation NEXT e in quell’occasione mi spiegò la sua creazione e alla fine mi dette una copia di quello che era il codice sorgente del web. Tornai a Pisa e poche settimane dopo, agli inizi del 1993, avevamo il nostro server funzionante. Con i colleghi ripetemmo poi l’esperienza con i sistemi IBM AIX di Ateneo e dell’INFN di Pisa. Avevamo gettato le basi dei primi siti web italiani che di lì a poco, nell’agosto de 1993, avrebbero trovato una prima forma compiuta nel sito del CRS4 di Cagliari, Centro diretto, peraltro, da uno dei nostri laureati più illustri, Carlo Rubbia, ed estensione del CERN in Italia”.
Le origini di questa storia, per molti anni rimasta chiusa negli archivi dell'Università di Pisa, risalgono ad un gruppo di ricercatori e studenti che già nel 1989 si erano cimentati nel primo collegamento italiano in fibra ottica. Da quel nucleo originario, nel 1992, nascerà la squadra di lavoro organizzata dal professore Giuseppe Pierazzini dell’Università di Pisa, che porterà alla nascita della prima rete universitaria in fibra ottica d'Italia e poi al Centro di SERvizi per la Rete di Ateneo (SERra).
“Eravamo giovani e con tanta voglia di sperimentare – racconta Stefano Suin – Il gruppo di Pierazzini, interdisciplinare e interdipartimentale, era il terreno di coltura adatto per sviluppare progetti che all’epoca erano veramente pionieristici. Basti pensare che negli anni che hanno preceduto l’avvento del world wide web, il nostro Ateneo è stato un punto di riferimento in Europa per Gopher, il protocollo utilizzato inizialmente per collegare PC in tutto il mondo, e server per l'Italia di Archie, il primo motore di ricerca nella storia di internet”.
Oggi questa storia d'eccellenza prosegue nel Green Data Center di Ateneo che, oltre ad essere quasi ad impatto zero, è anche uno dei pochissimi classificato come A dall'AgID. Nel GDC si portano avanti progetti di ricerca che vanno dai nano materiali al quantum computing e vi si testano tecnologie di nuova generazione.
Il Green Data Center è il cuore dell'attuale rete dell'Università di Pisa, formata da oltre 9000 km di fibra ottica, con 80 km di canalizzazioni, che collega 250 edifici universitari. Attraverso accordi e convenzioni, inoltre, l’infrastruttura server ormai da tempo anche l’intera rete civica pisana e collega gli enti e le istituzioni di ricerca della città e le scuole di ogni ordine e grado di Pisa e Livorno.
Studentesse e studenti al servizio della comunità nell’ottica della sostenibilità
Venerdì 5 maggio si è tenuto il pitch day dell’iniziativa “Quanto ne sai di sostenibilità?”, giunta alla sua seconda edizione. L’evento, organizzato dal dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-Ambientali dell’Università di Pisa ha riunito studenti, docenti e rappresentanti di numerose organizzazioni no-profit per riflettere sulle possibili soluzioni alle sfide sociali, ambientali ed economiche del territorio. L’iniziativa si inserisce nel quadro delle attività del progetto NEMOS- A new educational approach for the acquisition of sustainability competences through service learning” co-finanziato dalla Commissione Europea e coordinato per l’Ateneo pisano dal professor Alessio Cavicchi.
Foto della platea durante il seminario del 21 aprile.
È intervenuta la professoressa Lucia Guidi che ha ribadito l’importanza dell’iniziativa in termini di formazione per gli studenti, incentivati a sfruttare le conoscenze acquisite durante i corsi universitari per apportare un servizio alla società in risposta ai suoi bisogni; a seguire il professor Daniele Antichi, membro della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA), ha sottolineato la complementarità dell’evento con le iniziative proposte dal gruppo di lavoro istituito nel 2019 con lo scopo di valorizzare il ruolo dell’Università per la transizione sostenibile.
A seguire, spazio ai protagonisti dell’iniziativa: 40 studentesse e studenti dei corsi di laurea triennale in Scienze Agrarie e Viticoltura ed Enologia e dei corsi magistrali di “Biotecnologie Vegetali e Microbiche”, “Biosicurezza e Qualità degli Alimenti”, “Progettazione e Gestione del Verde Urbano e del Paesaggio” e “Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi”. Divisi in gruppi, hanno presentato, a seguito di un periodo di approfondimento di tre settimane, costituito da seminari (14 e 21 aprile 2023), lavori di gruppo, interviste e ricerche tematiche, le proprie proposte di soluzione alle sfide lanciate. I referenti delle sfide sono stati Silvia Rolandi per Slow Food Toscana, Yuri Galletti per Legambiente Pisa e Semi di Scienza, Angela Spigai e Alessandra Luisi per la Fondazione Dopo di noi Pisa Onlus Centro “Le Vele”, Nicola Silvestri e Antonio Di Fonzo per il Consorzio di Bonifica “Toscana Nord”, Paolo Pacini e Riccardo Gragnani per l’associazione “11 del Vino”.
Seminario del 21 aprile. Di spalle, nel tavolo dei relatori: al centro, prof.ssa Lucia Guidi; a sinistra, Yuri Galletti (Legambiente Pisa e Semi di Scienza); a destra, Giampiero De Simone, moderatore del seminario. In prima fila da sinistra: Riccardo Gragnani e Paolo Pacini (Associazione 11 del Vino), professor Andrea Lucchi, Alessandra Luisi e Angela Spigai (Fondazione Dopo di noi Pisa Onlus, Centro Le Vele), professor Nicola Silvestri. In seconda fila da destra: professoressa Silvia Tavarini.
Tra i gruppi, c’è chi doveva progettare un orto sostenibile per gli spazi di un centro socio-assistenziale, chi si doveva occupare di sostenibilità alimentare ed energetica in ambito urbano, chi doveva trovare soluzioni colturali innovative per fronteggiare l’abbassamento dei terreni; chi doveva pensare ai modi più efficaci di coinvolgere in maniera attiva i giovani nelle attività associative e chi era chiamato a organizzare un evento europeo che coniuga calcio e cultura vitivinicola in modo sostenibile. Le soluzioni sono state proposte sottoforma di progetto finanziabile, sottolineando al meglio obiettivi, attività e risorse necessarie, dando evidenza del modo in cui essa contribuisca al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Grande soddisfazione, consigli pratici per una adeguata applicazione delle soluzioni proposte e gratitudine sono emersi dai riscontri da parte delle organizzazioni.
Slow Team presenta la soluzione per la sfida Slow Food Toscana durante l’evento finale del 5 maggio. Le componenti del gruppo: Anna Dascanio, Alessandra Baldassarri, Benedetta Anfossi, Gaia Giusti, Micol Nocchi, Xinyu Zhang.
Dal punto di vista di tutor e docenti, l’iniziativa ha funzionato. Tra i tutor, c’è chi ha affermato che questo tipo di iniziative sono utili anche ai fini dell’acquisizione di sicurezza nel presentare in pubblico, lavorare in gruppo e con una scansione temporale ben definita che porti a dei risultati in tempi brevi. E questo approccio consente di stare al passo coi tempi, in linea con modalità di formazione basate sull’esperienza diretta. Ciò fa ben sperare che l’iniziativa possa promuovere una maggior collaborazione tra università e organizzazioni a livello territoriale, lavorando contemporaneamente a prospettive di internazionalizzazione delle attività, già incluse nelle giornate dedicate al Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023 promosso dall’ASVIS.
Un momento del lancio della sfida da parte di Silvia Rolandi (Slow Food Toscana) durante il seminario del 14 aprile.
Quel che è certo al momento è che “Quanto ne sai di sostenibilità?” ha contribuito a creare una comunità sempre più strutturata dedicata al service learning, che vede in prima linea il lavoro dei professori Alessio Cavicchi, Lucia Guidi, Silvia Tavarini e Andrea Lucchi, delle assegniste di ricerca Sabrina Tomasi e Annapia Ferrara, nonché l’impegno di una vivace comunità studentesca, coordinata e supportata dagli studenti tutor Sofia Fiorentino, Marzia Bianco, Eugenia Ronga, Tiziano Greco, Bruno Bighignoli, Alfonso Boccia, Valentina Gallo e Giampiero De Simone.
La grande abbuffata: un ormone ci indica quanto riusciamo a smaltirla
La reazione a una “grande abbuffata” ad alto contenuto di carboidrati non è la stessa per tutti. C’è chi riesce a smaltirla meglio di altri, e questo dipende in parte dal nostro profilo metabolico. Per capire se siamo tipi con un metabolismo più risparmiatore o dispendioso, che tendono cioè a bruciare più o meno carboidrati, c’è un’importante sentinella, l’ormone glp1. Un nuovo studio pubblicato su Obesity e condotto dall’Università di Pisa presso l’ente di ricerca NIH negli Stati Uniti ha indagato il ruolo di questo ormone, quantificando per la prima volta le variazioni di concentrazione nel sangue in risposta una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati.
La sperimentazione ha riguardato 69 soggetti che hanno ingerito circa 4000 kilocalorie (ossia il doppio rispetto alla dieta normocalorica) nell’arco di 24 ore e che sono stati quindi monitorati in una camera metabolica per misurare il dispendio energetico e la risposta termogenica alla dieta. Da una stima dai risultati è emerso che, a parità di carboidrati ingeriti, le calorie bruciate dall'ossidazione dei carboidrati possono variare fino a 500 kcal/giorno a seconda del metabolismo di ogni individuo.
“Abbiamo scoperto che gli individui che sono riusciti a ossidare più carboidrati quando sottoposti ad una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati erano anche quelli che sono riusciti ad aumentare maggiormente la concentrazione nel sangue dell’ormone glp1”, spiega Paolo Piaggi (foto), docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Università di Pisa e autore senior dello studio.
L’ormone glp1, rilasciato nella circolazione sanguigna proprio in base a quanto noi mangiamo, stimola infatti il pancreas a produrre insulina: di conseguenza le cellule, in particolare quelle dei muscoli, riescono ad ossidare, cioè bruciare, più carboidrati.
“Identificare l’ormone glp1 come biomarker del profilo metabolico – aggiunge Piaggi – ci avvicina sempre di più ad una medicina personalizzata e di precisione nell’ambito della ricerca sull’obesità, questo in prospettiva potrà semplificare la definizione dei profili metabolici, che potrà avvenire con un semplice esame del sangue, senza ricorrere come oggi, a procedure più complesse come quelle che vengono condotte all’interno di una camera metabolica”.
Paolo Piaggi, vincitore nel 2015 del programma "Rita Levi Montalcini", un progetto del Miur per far rientrare in Italia i giovani ricercatori che lavorano all’estero, è attualmente professore associato di Bioingegneria del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Ateneo pisano. Molta della sua attuale attività di ricerca si svolge presso l’Azienda ospedaliera universitaria pisana (Aoup) dove dal 2019 è in funzione una camera metabolica, la prima in Toscana e la quarta tutta Italia, istituita grazie ad una cooperazione interdisciplinare tra il mondo medico e quello ingegneristico per comprendere la patofisiologia dell’obesità e sviluppare metodi diagnostici che permettano la caratterizzazione dei fenotipi metabolici per la prevenzione e terapia dell’obesità e dell’aumento di peso corporeo.
La camera metabolica è una delle tecnologie del FoReLab, il laboratorio del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione che aggrega la ricerca in tutti i settori ICT rivolta a una società 5.0, autonoma, resiliente e centrata sulla persona.
“La creazione di tecnologie e metodologie per una medicina personalizzata che tenga la persona al centro - dice Andrea Caiti, direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione - è uno dei focus del FoReLab. Nella ricerca orientata al futuro le tecnologie dell’informazione includono modelli di processi congitivi, fisiologici ed emotivi che integrano diversi parametri, rilevati tramite dispositivi indossabili o sensori minimamente invasivi, in modo da adattare i sistemi alle caratteristiche individuali delle persone”.
Pisa: 30 anni fa la prima pagina web pubblicata in Italia
Il 1993 era iniziato da poco quando sullo schermo di un PC/Unix dell’Università di Pisa fu visualizzata la prima pagina web messa online in Italia. Una schermata rudimentale – testo, immagini e qualche elemento di grafica – che segnò l’approdo del nostro Paese nel world wide web nato meno di due anni prima.
A rendere possibile quell’impresa, la creazione del primo server web italiano, nato esattamente 30 anni fa e realizzato a partire dal codice (ancora in versione BETA) che lo stesso Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, aveva regalato a Maurizio Davini, all’epoca giovanissimo studente in fisica e oggi CTO del Green Data Center di Ateneo. All’impresa parteciparono, Stefano Suin, informatico e oggi dirigente della Direzione infrastrutture digitali Unipi; e l’economista Paolo Caturegli, insieme ad altri docenti dell'Università di Pisa. Pionieri, la cui curiosità e voglia di sperimentare diede vita, in quegli anni, ad una serie di progetti informatici che collocherà l’Università di Pisa all'avanguardia in Italia e in Europa nello sviluppo del web.
Maurizio Davini al CERN di Ginevra nel 1992
“Il mio incontro con Berners-Lee avvenne alla fine del 1992 al Centro di Calcolo del CERN di Ginevra – racconta Maurizio Davini – Ero lì per vedere come funzionava la sua workstation NEXT e in quell’occasione mi spiegò la sua creazione e alla fine mi dette una copia di quello che era il codice sorgente del web. Tornai a Pisa e poche settimane dopo, agli inizi del 1993, avevamo il nostro server funzionante. Con i colleghi ripetemmo poi l’esperienza con i sistemi IBM AIX di Ateneo e dell’INFN di Pisa. Avevamo gettato le basi dei primi siti web italiani che di lì a poco, nell’agosto de 1993, avrebbero trovato una prima forma compiuta nel sito del CRS4 di Cagliari, Centro diretto, peraltro, da uno dei nostri laureati più illustri, Carlo Rubbia, ed estensione del CERN in Italia”.
Le origini di questa storia, per molti anni rimasta chiusa negli archivi dell'Università di Pisa, risalgono ad un gruppo di ricercatori e studenti che già nel 1989 si erano cimentati nel primo collegamento italiano in fibra ottica. Da quel nucleo originario, nel 1992, nascerà la squadra di lavoro organizzata dal professore Giuseppe Pierazzini dell’Università di Pisa, che porterà alla nascita della prima rete universitaria in fibra ottica d'Italia e poi al Centro di SERvizi per la Rete di Ateneo (SERra).
Stefano Suin assieme al professor Giuseppe Pierazzini padre della rete di Ateneo
“Eravamo giovani e con tanta voglia di sperimentare – racconta Stefano Suin – Il gruppo di Pierazzini, interdisciplinare e interdipartimentale, era il terreno di coltura adatto per sviluppare progetti che all’epoca erano veramente pionieristici. Basti pensare che negli anni che hanno preceduto l’avvento del world wide web, il nostro Ateneo è stato un punto di riferimento in Europa per Gopher, il protocollo utilizzato inizialmente per collegare PC in tutto il mondo, e server per l'Italia di Archie, il primo motore di ricerca nella storia di internet”.
Oggi questa storia d'eccellenza prosegue nel Green Data Center di Ateneo che, oltre ad essere quasi ad impatto zero, è anche uno dei pochissimi classificato come A dall'AgID. Nel GDC si portano avanti progetti di ricerca che vanno dai nano materiali al quantum computing e vi si testano tecnologie di nuova generazione.
Il Green Data Center di San Pietro in Grado
Il Green Data Center è il cuore dell'attuale rete dell'Università di Pisa, formata da oltre 9000 km di fibra ottica, con 80 km di canalizzazioni, che collega 250 edifici universitari. Attraverso accordi e convenzioni, inoltre, l’infrastruttura server ormai da tempo anche l’intera rete civica pisana e collega gli enti e le istituzioni di ricerca della città e le scuole di ogni ordine e grado di Pisa e Livorno.
La grande abbuffata: un ormone ci indica quanto riusciamo a smaltirla
La reazione a una “grande abbuffata” ad alto contenuto di carboidrati non è la stessa per tutti. C’è chi riesce a smaltirla meglio di altri, e questo dipende in parte dal nostro profilo metabolico. Per capire se siamo tipi con un metabolismo più risparmiatore o dispendioso, che tendono cioè a bruciare più o meno carboidrati, c’è un’importante sentinella, l’ormone glp1. Un nuovo studio pubblicato su Obesity e condotto dall’Università di Pisa presso l’ente di ricerca NIH negli Stati Uniti ha indagato il ruolo di questo ormone, quantificando per la prima volta le variazioni di concentrazione nel sangue in risposta una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati.
La sperimentazione ha riguardato 69 soggetti che hanno ingerito circa 4000 kilocalorie (ossia il doppio rispetto alla dieta normocalorica) nell’arco di 24 ore e che sono stati quindi monitorati in una camera metabolica per misurare il dispendio energetico e la risposta termogenica alla dieta. Da una stima dai risultati è emerso che, a parità di carboidrati ingeriti, le calorie bruciate dall'ossidazione dei carboidrati possono variare fino a 500 kcal/giorno a seconda del metabolismo di ogni individuo.
“Abbiamo scoperto che gli individui che sono riusciti a ossidare più carboidrati quando sottoposti ad una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati erano anche quelli che sono riusciti ad aumentare maggiormente la concentrazione nel sangue dell’ormone glp1”, spiega Paolo Piaggi (foto), docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Università di Pisa e autore senior dello studio.
L’ormone glp1, rilasciato nella circolazione sanguigna proprio in base a quanto noi mangiamo, stimola infatti il pancreas a produrre insulina: di conseguenza le cellule, in particolare quelle dei muscoli, riescono ad ossidare, cioè bruciare, più carboidrati.
“Identificare l’ormone glp1 come biomarker del profilo metabolico – aggiunge Piaggi – ci avvicina sempre di più ad una medicina personalizzata e di precisione nell’ambito della ricerca sull’obesità, questo in prospettiva potrà semplificare la definizione dei profili metabolici, che potrà avvenire con un semplice esame del sangue, senza ricorrere come oggi, a procedure più complesse come quelle che vengono condotte all’interno di una camera metabolica”.
Paolo Piaggi, vincitore nel 2015 del programma "Rita Levi Montalcini", un progetto del Miur per far rientrare in Italia i giovani ricercatori che lavorano all’estero, è attualmente professore associato di Bioingegneria del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Ateneo pisano. Molta della sua attuale attività di ricerca si svolge presso l’Azienda ospedaliera universitaria pisana (Aoup) dove dal 2019 è in funzione una camera metabolica, la prima in Toscana e la quarta tutta Italia, istituita grazie ad una cooperazione interdisciplinare tra il mondo medico - in primo piano il professore Ferruccio Santini, direttore di Endocrinologia I di AOUP dove la camera metabolica e' situata e il dottor Alessio Basolo, medico che organizza gli esperimenti nella camera metabolica - e quello ingegneristico per comprendere la patofisiologia dell’obesità e sviluppare metodi diagnostici che permettano la caratterizzazione dei fenotipi metabolici per la prevenzione e terapia dell’obesità e dell’aumento di peso corporeo.
La camera metabolica è una delle tecnologie del FoReLab, il laboratorio del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione che aggrega la ricerca in tutti i settori ICT rivolta a una società 5.0, autonoma, resiliente e centrata sulla persona.
“La creazione di tecnologie e metodologie per una medicina personalizzata che tenga la persona al centro - dice Andrea Caiti, direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione - è uno dei focus del FoReLab. Nella ricerca orientata al futuro le tecnologie dell’informazione includono modelli di processi congitivi, fisiologici ed emotivi che integrano diversi parametri, rilevati tramite dispositivi indossabili o sensori minimamente invasivi, in modo da adattare i sistemi alle caratteristiche individuali delle persone”.
Bando per collaborazioni part-time per tutorato d’accoglienza e alla pari
L'Ateneo ha bandito un concorso per la selezione di almeno 125 collaborazioni part-time per lo svolgimento di attività di tutorato d’accoglienza e alla pari.
Le attività dei candidati selezionati consisteranno nel supporto e tutorato sia agli immatricolati sia agli iscritti ad anni successivi.
Il numero delle collaborazioni potrà incrementarsi sulla base della durata effettiva delle singole collaborazioni.
Il numero di ore di ciascuna collaborazione è di almeno 60 e massimo 200 ore.
La domanda di partecipazione alla selezione deve essere presentata entro le ore 12,00 del 4 giugno 2023, esclusivamente on line, tramite il Portale Alice. Chi dovesse avere problemi nella presentazione tramite Alice potrà comunicarlo entro il giorno 3 giugno 2023 alle ore 12,00, all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Le graduatorie finali saranno pubblicate direttamente dai Dipartimenti entro il 10 luglio 2023.
Fa tappa all’Università di Pisa la sfida di informatica “Coding Girls”
orna negli atenei italiani "Coding Girls", il programma formativo pensato per aiutare le giovani e i giovani studenti a orientarsi con libertà negli studi e nelle professioni del futuro, allenandosi alle discipline STEM. L’iniziativa fa tappa all’Università di Pisa sabato 6 maggio, al Polo Fibonacci (edificio E, aula E e laboratori H e M), dalle ore 9 alle 14. Nell’edizione pisana sono stati coinvolti gli istituti IIS Carducci di Viareggio e ITI Marconi di Pontedera, supportati dall’Università di Pisa e in particolare dal Dipartimento di Informatica e dal Museo degli Strumenti per il Calcolo del Sistema Museale di Ateneo, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico. Dell’Ateneo pisano anche i formatori: Paula Dominique Regalado Avila e Giulia Falaschi e gli studenti che parteciperanno all’evento finale: Bruno Barbieri, Federica Buoncompagni, Claudio Bernardoni, Filipe Bertolucci e Claudia Porrello.
Per la IX edizione il progetto coinvolge 900 studenti in 42 scuole secondarie superiori di secondo grado, per un totale di 176 ore di formazione, 12 hackathon (Roma, Milano, Gorizia, Salerno, Bari, Pisa, Palermo, Cagliari, Napoli, Bologna, Perugia, Ancona), 40 formatori impegnati. Le novità di quest’anno riguardano innanzitutto il rafforzamento delle azioni di orientamento universitario da parte degli atenei che, oltre a ospitare gli hackathon, coinvolgono i propri studenti e studentesse universitari nel ruolo di role model per i ragazzi delle scuole secondarie superiori coinvolti. Giunto alla nona edizione, è forte di una grande cordata educativa guidata dalla Fondazione Mondo Digitale, che coinvolge scuole, famiglie, università, aziende e organizzazioni pubbliche e private. Continua la felice sinergia con la Missione Diplomatica Usa in Italia, la collaborazione con Microsoft, la Fondazione Compagnia di San Paolo e ING Italia.
La giornata pisana si apre alle ore 9 con i saluti e l’introduzione di Benedetta Mennucci, prorettrice per la Promozione della Ricerca, Chiara Bodei, professoressa al Dipartimento di Informatica e presidente del Sistema Museale di Ateneo (che include il Museo degli Strumenti per il Calcolo), Gianna Del Corso, professoressa al Dipartimento di Informatica e delegata del Dipartimento per l’attività di orientamento in entrata, Valeria Raglianti, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana - Ufficio X – Ambito territoriale della Provincia di Pisa, e Cecilia Stajano, vicepresidente Coding Girls Fondazione Mondo Digitale. Alle 9.30 è previsto il lancio della sfida e l’avvio della gara e alle 12.30 i pitch moderati dai formatori della Fondazione Mondo Digitale. Alla fine della mattinata ci sarà la premiazione. La giuria è composta per l’Ateneo da Chiara Bodei e Gianna Del Corso, per la Fondazione Mondo Digitale da Cecilia Stajano.
La comunità universitaria incontra i candidati sindaco: le domande aggiuntive e le risposte
La comunità dell’Università di Pisa ha incontrato i candidati a sindaco di Pisa in un incontro pubblico che si è tenuto martedì 18 aprile nell’Aula Magna del Polo Carmignani. All'incontro non ha potuto partecipare Edoardo Polacco per ragioni tecniche indipendenti dalla sua volontà, in quanto era stato contattato a un indirizzo email che è risultato non corretto.
Ai candidati è stato chiesto di esprimersi sui principali temi che riguardano il rapporto tra università e città, illustrando idee, progetti e obiettivi da perseguire in caso di elezione.
Qui di seguito sono pubblicate le risposte dei sei candidati a sindaco alle domande che, per limiti di tempo, non è stato possibile porre nel corso dell'incontro in presenza.
Le domande
- Che tipo di visione avete per l'università e per il rapporto città/università? Ci sono visioni/progetti per il superamento di quella che è a tutti gli effetti la compresenza (indifferente e talora potenzialmente conflittuale) tra le due città: quella degli studenti e quella dei residenti?
- Qual è la vostra posizione sul problema urbanistico? L’università, in cerca di spazi adeguati per la didattica che cambia, ha spostato e sposterà la presenza degli studenti dal centro verso zone più periferiche della città. Le case del centro sono state prima occupate dagli studenti, ora dai bed & breakfast, con residenti e studenti in crisi per il caro affitti. Il centro svuotato da questi fenomeni viene riempito da turisti, le periferie al contrario si desertificano per socialità e cultura. Come pensate di governare questi fenomeni?
- Dal 2019 il nostro Ateneo ha creato CISUP, una rete che rende possibile l'accesso aperto a strumentazioni di altissimo livello a tutti gli studenti e ricercatori dell'Università. Questa esperienza di successo ha comunque ancora un limite per avere una sua piena realizzazione: non ha ancora una sede adeguata. Servirebbero circa 2000 mq, eventualmente espandibili per ospitare futuri progetti di ricerca di eccellenza. Se eletta/eletto alla guida del Comune di Pisa, avrebbe proposte per risolvere questo problema?
- Come pensate di affrontare le questioni dei costi degli affitti delle case per gli studenti e la creazione di spazi di divertimento per i giovani? Come pensate di conciliare il riconoscimento di bisogni culturali e di svago diurni e notturni con il contrasto alla cosiddetta "mala movida"?
- Vorremmo chiedere al futuro sindaco se sarà possibile prevedere in zona Porta a Mare un parcheggio gratuito con servizio Bus Navetta e servizio biciclette (CicloPI e Ridemovi) analogamente a quanto esiste già per chi proviene da Nord (parcheggio Pietrasantina) e dalla Lungomonte (parcheggio via Paparelli). Riteniamo che questa sia una soluzione strategica per la mobilità sostenibile di un gran numero di utenti dell'Università (studenti, tecnici e personale docente), e non solo, che accedono a Pisa dalla FIPILI e da Livorno.
Le risposte dei candidati
Francesco Auletta detto Ciccio