Al direttore del Dipartimento di Farmacia, la medaglia “Luigi Musajo 2019”
Il professore Federico Da Settimo Passetti, direttore del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa, ha ricevuto la medaglia ”Luigi Musajo 2019” nell’ambito del “XXVI National Meeting on Medicinal Chemistry” che si è svolto a Milano dal 16 al 19 luglio. Il prestigioso premio, rappresentato da una medaglia in argento, viene conferito ogni tre anni dalla Divisione di Chimica Farmaceutica della Società Chimica Italiana ad uno studioso italiano che, per l’attività di ricerca e didattica e l’impegno nell’ambito della Divisione abbia inciso significativamente sullo sviluppo delle Scienze Chimico‐Farmaceutiche in Italia.
Federico Da Settimo si è laureato in Chimica con lode all'Università di Pisa nel 1985 dove ha compiuto la sua carriera accademica sino a diventare nel 2001 professore ordinario e quindi direttore del dipartimento di Farmacia dal 2016. In quello stesso anno ha poi ricevutol’Ordine del Cherubino, un riconoscimento con il quale l’Ateneo pisano premia coloro che hanno contribuito ad accrescere il prestigio dell'Università di Pisa per i particolari meriti scientifici e culturali o per l'apporto dato alla vita e al funzionamento dell'Ateneo.
Al centro il professore Da Settimo con il past-president della Divisione Gabriele Costantino a destra e l’attuale presidente Gianluca Sbardella a sinistra
Nell’ambito della Società Chimica Italiana, il Federico Da Settimo è stato Presidente della Divisione di Chimica Farmaceutica della Società Chimica Italiana nel triennio 2010-2012 e past-president nel triennio successivo.
La produzione scientifica del pofessore Da Settimo si concretizza in oltre centosessanta lavori, la maggior parte pubblicati su riviste internazionali altamente qualificate. La sua attività di ricerca è principalmente focalizzata sullo studio di piccole molecole eteropolicicliche contenenti il nucleo indolico quale scaffold privilegiato utili per lo sviluppo di nuovi agenti terapeutici ad azione ipnotico-sedativa, ansiolitica, antiinfiammatoria e antitumorale. L’interesse del Professore si è rivolto anche allo sviluppo di agenti diagnostici sia fluorescenti che radiomarcati. Il professore si è inoltre interessato allo sviluppo di inibitori di enzimi quali l’aldoso reduttasi, l’adenosina deaminasi e le proteine tirosina chinasi: in quest’ultimo campo ha descritto una nuova classe di agenti attivi sui tumori della tiroide.
L’Ateneo finanzia 33 nuovi progetti speciali per la didattica
Per il primo semestre del prossimo anno accademico sono in arrivo 33 nuovi progetti speciali per la didattica, l’iniziativa con cui l’Università di Pisa ha inaugurato dall’anno scorso un nuovo modo di fare lezione, che va oltre la tradizionale “aula”: gli studenti hanno la possibilità di partecipare a viaggi studio, lezioni fuori sede, iniziative all’estero e svolgere tante altre attività pensate per rendere più efficaci e incisivi gli insegnamenti dei corsi di laurea. Per i prossimi mesi l’Ateneo ha stanziato oltre 250.000 euro distribuiti tra progetti che comprendono viaggi di istruzione in Italia e all’estero, lezioni sul campo, scavi archeologici, cicli di seminari, teatro didattico, laboratori speciali e molto altro. L’elenco completo è disponibile a questo link.
Attivati per la prima volta lo scorso anno accademico, i progetti speciali sono finanziati con fondi che l’Ateneo dedica appositamente a questo scopo. Nell’anno accademico 2018/2019 sono 40 i progetti realizzati: queste inizitive hanno riscosso un immediato successo fra studenti e docenti, anche portando alla luce una grande quantità di attività didattiche innovative, inaspettate ed entusiasmanti offerte dai corsi di studio.
Alcune delle iniziative dello scorso anno:
Per 13 studenti Unipi lezione fuori sede al Centro di ricerca Elettra Sincrotone di Trieste
L'avventura di 12 studenti del dipartimento di Scienze della Terra nel deserto del Perù
Lezione fuori sede per gli studenti Unipi nei musei europei
All'Università di Pisa la didattica è... speciale
Sfoglia la gallery con le foto di alcune iniziative:
Svelato il microbiota dell’hákarl, lo squalo fermentato, alimento tradizionale della cucina islandese
Un team di microbiologhe del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, in collaborazione con colleghi delle Università delle Marche, di Torino e dell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, ha sequenziato per la prima volta a livello mondiale il DNA delle popolazioni di lieviti e batteri caratteristici dell’hákarl, lo squalo fermentato, alimento tradizionale della cucina islandese.
“Il processo di fermentazione promosso dai lieviti e batteri nativi – spiega Monica Agnolucci dell’Università di Pisa - trasforma i filetti dello squalo Somntosus microcephalus, originario delle acque prospicienti le coste della Groenlandia e dell'Islanda, nel Nordatlantico, nell’ hákarl, una prelibatezza della cucina nordica derivante dalle tradizioni vichinghe”.
L’hákarl rappresenta uno dei tipi di pesce fermentato consumati in tempi antichi in tutta Europa, e popolari anche presso i Romani, che ne ricavavano una salsa speciale chiamata garum. In Islanda e nei paesi nordici l’hákarl rivestiva un ruolo importante nella dieta come fonte di proteine ed energia, ed è ad oggi consumato come prelibatezza tradizionale anche dai turisti. Il prodotto ha una consistenza morbida, un colore biancastro simile al formaggio e un forte sapore di pesce: oggi è spesso servito sotto forma di piccoli cubetti e accompagnato da bicchierini di Brennivín, una bevanda alcolica fermentata tipica.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Food Microbiology, è stato condotto con un approccio multidisciplinare e multimodale, basato sia sulla coltura dei fermenti nativi che su tecniche coltura-indipendenti, utilizzando DNA estratto dai campioni, quali PCR-DGGE e Illumina sequencing.
“Mentre il metodo coltura-dipendente ha permesso di determinare il numero reale di fermenti vitali nell’alimento – prosegue Monica Agnolucci – i due metodi basati sul DNA ci hanno fornito un quadro generale della complessa biodiversità microbica tipica dell’hákarl, identificando specie capaci di svolgere un ruolo importante nello sviluppo delle sue qualità sensoriali”.
“Il successo degli studi sugli alimenti e bevande fermentati, condotti da alcuni anni nei nostri laboratori – sottolinea Manuela Giovannetti dell’Università di Pisa – ci ha stimolato a proseguire con una nuova iniziativa, il Corso di Perfezionamento sui fermentati tradizionali, recentemente riscoperti anche da chef, gastronomi e food writers, per fornire conoscenze sulla loro produzione e sulle loro qualità prebiotiche, probiotiche e salutistiche, che sono il risultato dell’attività dei fermenti, lieviti e batteri lattici e acetici”.
Le altre autrici pisane dello studio, insieme a Monica Agnolucci e Manuela Giovannetti, sono Michela Palla e Caterina Cristani.
Svelato il microbiota dell’hákarl, lo squalo fermentato, alimento tradizionale della cucina islandese
Un team di microbiologhe del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, in collaborazione con colleghi delle Università delle Marche, di Torino e dell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, ha sequenziato per la prima volta a livello mondiale il DNA delle popolazioni di lieviti e batteri caratteristici dell’hákarl, lo squalo fermentato, alimento tradizionale della cucina islandese.
“Il processo di fermentazione promosso dai lieviti e batteri nativi – spiega Monica Agnolucci docente dell'Università di Pisa - trasforma i filetti dello squalo Somntosus microcephalus, originario delle acque prospicienti le coste della Groenlandia e dell'Islanda, nel Nordatlantico, nell’ hákarl, una prelibatezza della cucina nordica derivante dalle tradizioni vichinghe”.
Lo squalo fermentato tipico della cucina islandese
L’hákarl rappresenta uno dei tipi di pesce fermentato consumati in tempi antichi in tutta Europa, e popolari anche presso i Romani, che ne ricavavano una salsa speciale chiamata garum. In Islanda e nei paesi nordici l’hákarl rivestiva un ruolo importante nella dieta come fonte di proteine ed energia, ed è ad oggi consumato come prelibatezza tradizionale anche dai turisti. Il prodotto ha una consistenza morbida, un colore biancastro simile al formaggio e un forte sapore di pesce: oggi è spesso servito sotto forma di piccoli cubetti e accompagnato da bicchierini di Brennivín, una bevanda alcolica fermentata tipica.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Food Microbiology, è stato condotto con un approccio multidisciplinare e multimodale, basato sia sulla coltura dei fermenti nativi che su tecniche coltura-indipendenti, utilizzando DNA estratto dai campioni, quali PCR-DGGE e Illumina sequencing.
A sinistra Monica Angolucci, a destra Manuela Giovannetti
“Mentre il metodo coltura-dipendente ha permesso di determinare il numero reale di fermenti vitali nell’alimento – prosegue Monica Agnolucci – i due metodi basati sul DNA ci hanno fornito un quadro generale della complessa biodiversità microbica tipica dell’hákarl, identificando specie capaci di svolgere un ruolo importante nello sviluppo delle sue qualità sensoriali”.
“Il successo degli studi sugli alimenti e bevande fermentati, condotti da alcuni anni nei nostri laboratori – sottolinea Manuela Giovannetti professoressa dell'Università di Pisa – ci ha stimolato a proseguire con una nuova iniziativa, il Corso di Perfezionamento sui fermentati tradizionali, recentemente riscoperti anche da chef, gastronomi e food writers, per fornire conoscenze sulla loro produzione e sulle loro qualità prebiotiche, probiotiche e salutistiche, che sono il risultato dell’attività dei fermenti, lieviti e batteri lattici e acetici”.
Le altre autrici pisane dello studio, insieme a Monica Agnolucci e Manuela Giovannetti, sono Michela Palla e Caterina Cristani.
Incarico di supporto alle attività didattiche relative ai precorsi di Matematica dei Corsi di Laurea in Scienze Naturali ed Ambientali e Scienze Geologiche
Il corso di laurea Informatica e Networking dell’Università di Pisa si rinnova con al centro wireless e 5G
Nuova vita per il corso di laurea magistrale in Informatica e Networking dell’Università di Pisa. Il corso di laurea, attivo dal 2009, ha messo in atto una vera e propria ristrutturazione dell’offerta formativa per fornire ai propri laureati magistrali tutte le conoscenze necessarie a padroneggiare il mondo delle comunicazioni wireless, fino al 5G.
"La percentuale dei nostri laureati che lavora a meno di due mesi dalla laurea è vicina all'80%, il rimanente 20% normalmente non lavora perché fa il dottorato di ricerca in Italia e in Europa”, spiega il professore Marco Danelutto che a settembre lascerà la carica di presidente del corso di studi al collega Stefano Giordano.
“I nostri laureati – continua Danelutto - occupano normalmente posizioni di rilievo in linea con le competenze acquisite durante gli studi, questa nuova ristrutturazione del corso andrà quindi a migliorare una situazione già molto positiva.”
Il nuovo ordinamento è stato progettato partendo dalla considerazione che le reti di telecomunicazioni stanno evolvendo da semplici “mezzi” per trasferire dati di vario genere da un posto all’altro a veri e propri strumenti “intelligenti” in cui l’informatica gioca un ruolo determinante sia nella gestione degli apparati di trasmissione che per la sicurezza, l’affidabilità delle comunicazioni.
Il corso di laurea magistrale, ad accesso libero e interamente erogato in inglese, partirà dal prossimo settembre e le immatricolazioni sono già aperte: chiunque in possesso di una laurea di primo livello in Informatica o Ingegneria delle telecomunicazioni può iscriversi.
Per ulteriori informazioni: www.di.unipi.it/en/education/mcsn
Estate nei Musei dell'Università di Pisa
https://www.sma.unipi.it/2019/07/lestate-dei-musei-di-ateneo/
Estate nei Musei dell'Università di Pisa
https://www.sma.unipi.it/2019/07/lestate-dei-musei-di-ateneo/
Online la ricostruzione 3D di una tomba egizia del 2300 a.C.
E’ on line la ricostruzione 3D della tomba di Khunes, un importante funzionario egiziano vissuto probabilmente al tempo del faraone Teti (2300 a.C. circa). A realizzare il modello immersivo e interattivo della sepoltura è stato Emanuele Taccola del Laboratorio di Disegno e Restauro (LaDiRe) dell’Università di Pisa grazie ai dati raccolti nel corso dell’ultima campagna di scavo a Zawyet Sultan, un sito nel Medio Egitto, sulla sponda orientale del Nilo, poco a sud della moderna città di Minya. Qui è attiva dal 2014 una missione archeologica diretta dai professori Gianluca Miniaci del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e Richard Bussmann dell’Università di Colonia in Germania.
Modello 3D della tomba
In questa area, che deve aver avuto un ruolo chiave nell’unificazione dell’Egitto agli albori della sua civiltà, gli archeologi sono impegnati in un’analisi spaziale delle strutture e del paesaggio per esplorare le interconnessioni tra resti che vanno dal 3200 a.C. al 1300 a.C. Si tratta in particolare di una piramide lasciata incompleta (ca. 2600 a.C.) che sorgeva sopra un cimitero di epoca predinastica (ca. 3200 a.C.), di alcune tombe di dignitari scavati nella roccia (ca. 2300 a.C.), fra cui appunto quella di Khunes, di un tempio remesside (ca. 1300 a.C.) e infine di un villaggio del periodo greco-romano.
Emanuele Taccola durante l’attività sul campo
“Il Laboratorio di Disegno e Restauro ha svolto un lavoro fondamentale di mappatura del sito grazie all’uso di un ricevitore GNSS differenziale – spiega Gianluca Miniaci – per la tomba di Khunes inoltre il rilievo è stato eseguito con metodo fotogrammetrico: grazie a questa procedura è stato possibile ottenere accurate informazioni metriche utili alla ricerca archeologica, nonché realizzare un modello 3D nel quale è possibile muoversi virtualmente indossando un visore”.
On line la ricostruzione 3D di una tomba egizia del 2300 a.C.
E’ on line la ricostruzione 3D della tomba di Khunes, un importante funzionario egiziano vissuto probabilmente al tempo del faraone Teti (2300 a.C. circa). A realizzare il modello immersivo e interattivo della sepoltura è stato Emanuele Taccola del Laboratorio di Disegno e Restauro (LaDiRe) dell’Università di Pisa grazie ai dati raccolti nel corso dell’ultima campagna di scavo a Zawyet Sultan, un sito nel Medio Egitto, sulla sponda orientale del Nilo, poco a sud della moderna città di Minya. Qui è attiva dal 2014 una missione archeologica diretta dai professori Gianluca Miniaci del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e Richard Bussmann dell’Università di Colonia in Germania.
In questa area, che deve aver avuto un ruolo chiave nell’unificazione dell’Egitto agli albori della sua civiltà, gli archeologi sono impegnati in un’analisi spaziale delle strutture e del paesaggio per esplorare le interconnessioni tra resti che vanno dal 3200 a.C. al 1300 a.C. Si tratta in particolare di una piramide lasciata incompleta (ca. 2600 a.C.) che sorgeva sopra un cimitero di epoca predinastica (ca. 3200 a.C.), di alcune tombe di dignitari scavati nella roccia (ca. 2300 a.C.), fra cui appunto quella di Khunes, di un tempio remesside (ca. 1300 a.C.) e infine di un villaggio del periodo greco-romano.
“Il Laboratorio di Disegno e Restauro ha svolto un lavoro fondamentale di mappatura del sito grazie all’uso di un ricevitore GNSS differenziale – spiega Gianluca Miniaci – per la tomba di Khunes inoltre il rilievo è stato eseguito con metodo fotogrammetrico: grazie a questa procedura è stato possibile ottenere accurate informazioni metriche utili alla ricerca archeologica, nonché realizzare un modello 3D nel quale è possibile muoversi virtualmente indossando un visore”.