Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi

Nell’immaginario collettivo è l’idea che tecnologie sviluppate dalla fisica della materia nella sua forma condensata, siano associate a dispositivi miniaturizzati, concepiti per facilitare la nostra vita quotidiana, come quelli usati per scrivere e forse leggere questo pezzo, una versione evoluta degli utensili inventati nell’età del ferro. Ma è possibile che tecnologie quantistiche possano contribuire a rispondere anche a domande fondamentali sull’Universo?
A rafforzare una risposta positiva a questa inattesa domanda, è uno studio teorico finalizzato alla messa a punto di una nuova classe di dispositivi per misure di precisione estremamente sofisticate, interferometri atomici che usano stati quantistici della materia come strumenti per verifiche della relatività generale e dunque di larga parte della nostra attuale comprensione del funzionamento dell’Universo. Di questo studio sono autori Marilù Chiofalo, professoressa di Fisica della materia all’Università di Pisa, e Leonardo Lucchesi, che ne ha fatto l’oggetto della sua tesi di laurea magistrale con la supervisione della stessa Chiofalo, e oggi dottorando dell’Università di Pisa. Lo studio è stato pubblicato il 9 agosto scorso sulla rivista “Physical Review Letters” della American Physical Society con il titolo “Many-Body Entanglement in Short-Range Interacting Fermi Gases for Metrology”.
Al centro della ricerca “made in Pisa” ci sono i fermioni, le particelle quantistiche così chiamate in onore di Enrico Fermi. Come tutte le particelle quantistiche, a ogni fermione è associata un’onda di probabilità di essere in un certo spazio ad un dato tempo, e due di loro possono essere preparati in modo da continuare a condividere determinate caratteristiche anche se allontanati a grande distanza, come se le loro onde di probabilità fossero irrimediabilmente aggrovigliate tra loro, una proprietà che viene chiamata entanglement: è come se, lanciando due dadi, l’uscita di un numero sul primo dado garantisca l’uscita dello stesso numero sull’altro. Nello studio, questo concetto è esteso ad un insieme di moltissimi atomi di natura fermionica: “Usando la duplice natura delle correlazioni tra atomi - spiega Marilù Chiofalo- legata alle caratteristiche quantistiche e alle forze con cui interagiscono tra loro, è come se le onde di probabilità dei molti atomi entangled formassero un ciuffo di capelli non pettinato per anni. Paradossalmente, mentre l’entanglement potenzia le caratteristiche quantistiche e dunque probabilistiche dello stato (tanto che non sappiamo come sia fatto), sappiamo però che ne riduce l’incertezza al livello utile al livello utile per un interferometro atomico: la misteriosa bellezza della fisica quantistica!».
Il lavoro di Lucchesi e Chiofalo si inserisce nell’ambito della fiorente attività di ricerca mirata a migliorare le prestazioni di dispositivi quantistici di misura, attirando vivo interesse in una comunità dove si incrociano tante fisiche: informatica quantistica, interazioni fondamentali, cosmologia, fisica della materia: «In questo scenario, il nostro studio trasmette due messaggi cruciali – aggiunge Leonardo Lucchesi – A differenza di studi precedenti, dimostriamo che il far interagire gli atomi anche a cortissima distanza, riesce a potenziare le proprietà di entanglement: lo stato con migliori prestazioni si è infatti dimostrato un grappolo “molto aggrovigliato” di atomi, nella forma di gocce quantistiche. Inoltre, stabiliamo un metodo non convenzionale per caratterizzare le fasi quantistiche di un sistema di molti atomi, basato proprio sull’informazione relativa al loro contenuto di entanglement, di fatto estendendo il concetto di informazione quantistica di Fisher, - nato nell’informatica quantistica - alla descrizione di come gli atomi si ordinano a costituire la materia, un concetto al cuore della fisica della materia nella sua forma condensata».
«La storia continua – aggiunge Chiofalo. È necessario concepire un protocollo operativo per l’interferometro e controllare la fragilità dello stato mentre interagisce inevitabilmente con l’ambiente esterno, aspetti che stiamo indagando in una collaborazione internazionale. Il nostro studio, nell’ambito della ricerca MAGIA-Advanced finanziata dall’INFN, è nel solco della proposta Atomic Experiment for Dark Matter and Gravity Exploration in Space (AEDGE), alla quale abbiamo contribuito con decine di colleghi e colleghe, e appena sottomessa all’Agenzia Spaziale Europea in risposta alla Call for White Papers per il piano Voyage 2050. L’idea di AEDGE è concepire esperimenti di interferometria atomica, complementari a VIRGO-LIGO o esperimenti di alte energie, per indagare problemi aperti di cosmologia e interazioni fondamentali: per rilevare materia oscura, onde gravitazionali, o ancora per verificare se particelle con masse differenti cadano in gravità con la stessa accelerazione, un test realizzato ingegnosamente per primo da Galileo con il pendolo, e che oggi mira a precisioni da mille a un milione di volte superiori.»
Queste nuove frontiere della ricerca saranno al centro della prossima Conferenza internazionale “Quantum gases, fundamental interactions, and cosmology” (QFC), che dal 23 al 25 ottobre radunerà a Pisa da tutto il mondo autorevoli scienziate e scienziati, che metteranno insieme in modo fecondo le loro energie provenendo da discipline diverse, per far nascere nuove idee.
La pubblicazione dell’articolo sulla prestigiosa rivista internazionale è un’ulteriore testimonianza dell’eccellenza delle ricerche portate avanti all’Università di Pisa, un Ateneo con oltre 50.000 iscritti dove studenti brillanti come Leonardo Lucchesi – 25 anni, originario di Viareggio – riescono a sviluppare le loro idee in tesi di laurea che poi diventano apripista per studi di frontiera.

 

Nell’immaginario collettivo è l’idea che tecnologie sviluppate dalla fisica della materia nella sua forma condensata, siano associate a dispositivi miniaturizzati, concepiti per facilitare la nostra vita quotidiana, come quelli usati per scrivere e forse leggere questo pezzo, una versione evoluta degli utensili inventati nell’età del ferro. Ma è possibile che tecnologie quantistiche possano contribuire a rispondere anche a domande fondamentali sull’Universo?

A rafforzare una risposta positiva a questa inattesa domanda, è uno studio teorico finalizzato alla messa a punto di una nuova classe di dispositivi per misure di precisione estremamente sofisticate, interferometri atomici che usano stati quantistici della materia come strumenti per verifiche della relatività generale e dunque di larga parte della nostra attuale comprensione del funzionamento dell’Universo. Di questo studio sono autori Marilù Chiofalo, professoressa di Fisica della materia all’Università di Pisa, e Leonardo Lucchesi, che ne ha fatto l’oggetto della sua tesi di laurea magistrale con la supervisione della stessa Chiofalo, e oggi dottorando dell’Università di Pisa. Lo studio è stato pubblicato il 9 agosto scorso sulla rivista “Physical Review Letters” della American Physical Society con il titolo “Many-Body Entanglement in Short-Range Interacting Fermi Gases for Metrology”.

 

universe-inside.jpg


Al centro della ricerca “made in Pisa” sono i fermioni, le particelle quantistiche così chiamate in onore di Enrico Fermi. Come tutte le particelle quantistiche, a ogni fermione è associata un’onda di probabilità di essere in un certo spazio ad un dato tempo, e due di loro possono essere preparati in modo da continuare a condividere determinate caratteristiche anche se allontanati a grande distanza, come se le loro onde di probabilità fossero irrimediabilmente aggrovigliate tra loro, una proprietà che viene chiamata entanglement: è come se, lanciando due dadi, l’uscita di un numero sul primo dado garantisca l’uscita dello stesso numero sull’altro.

Nello studio, questo concetto è esteso ad un insieme di moltissimi atomi di natura fermionica: “Usando la duplice natura delle correlazioni tra atomi - spiega Marilù Chiofalo- legata alle caratteristiche quantistiche e alle forze con cui interagiscono tra loro, è come se le onde di probabilità dei molti atomi entangled formassero un ciuffo di capelli non pettinato per anni. Paradossalmente, mentre l’entanglement potenzia le caratteristiche quantistiche e dunque probabilistiche dello stato (tanto che non sappiamo come sia fatto), sappiamo però che ne riduce l’incertezza al livello utile per un interferometro atomico: la misteriosa bellezza della fisica quantistica!».

Il lavoro di Lucchesi e Chiofalo si inserisce nell’ambito della fiorente attività di ricerca mirata a migliorare le prestazioni di dispositivi quantistici di misura, attirando vivo interesse in una comunità dove si incrociano tante fisiche: informatica quantistica, interazioni fondamentali, cosmologia, fisica della materia: «In questo scenario, il nostro studio trasmette due messaggi cruciali – aggiunge Leonardo Lucchesi – A differenza di studi precedenti, dimostriamo che il far interagire gli atomi anche a cortissima distanza, riesce a potenziare le proprietà di entanglement: lo stato con migliori prestazioni si è infatti dimostrato un grappolo “molto aggrovigliato” di atomi, nella forma di gocce quantistiche. Inoltre, stabiliamo un metodo non convenzionale per caratterizzare le fasi quantistiche di un sistema di molti atomi, basato proprio sull’informazione relativa al loro contenuto di entanglement, di fatto estendendo il concetto di informazione quantistica di Fisher, - nato nell’informatica quantistica - alla descrizione di come gli atomi si ordinano a costituire la materia, un concetto al cuore della fisica della materia nella sua forma condensata».

«La storia continua – aggiunge Chiofalo. È necessario concepire un protocollo operativo per l’interferometro e controllare la fragilità dello stato mentre interagisce inevitabilmente con l’ambiente esterno, aspetti che stiamo indagando in una collaborazione internazionale. Il nostro studio, nell’ambito della ricerca MAGIA-Advanced finanziata dall’INFN, è nel solco della proposta Atomic Experiment for Dark Matter and Gravity Exploration in Space (AEDGE), alla quale abbiamo contribuito con decine di colleghi e colleghe, e appena sottomessa all’Agenzia Spaziale Europea in risposta alla Call for White Papers per il piano Voyage 2050. L’idea di AEDGE è concepire esperimenti di interferometria atomica, complementari a VIRGO-LIGO o esperimenti di alte energie, per indagare problemi aperti di cosmologia e interazioni fondamentali: per rilevare materia oscura, onde gravitazionali, o ancora per verificare se particelle con masse differenti cadano in gravità con la stessa accelerazione, un test realizzato ingegnosamente per primo da Galileo con il pendolo, e che oggi mira a precisioni da mille a un milione di volte superiori.»


Queste nuove frontiere della ricerca saranno al centro della prossima Conferenza internazionaleQuantum gases, fundamental interactions, and cosmology” (QFC), che dal 23 al 25 ottobre radunerà a Pisa da tutto il mondo autorevoli scienziate e scienziati, che metteranno insieme in modo fecondo le loro energie provenendo da discipline diverse, per far nascere nuove idee.

La pubblicazione dell’articolo sulla prestigiosa rivista internazionale è un’ulteriore testimonianza dell’eccellenza delle ricerche portate avanti all’Università di Pisa, un Ateneo con oltre 50.000 iscritti dove studenti brillanti come Leonardo Lucchesi – 25 anni, originario di Viareggio – riescono a sviluppare le loro idee in tesi di laurea che poi diventano apripista per studi di frontiera.

Si è conclusa da pochi giorni la stagione delle competizioni dell’E-Team, la squadra corse dell’Università di Pisa che ha mostrato non solo di poter competere con le squadre più forti al mondo, ma anche di poter vincere.
È successo alla Formula Student Germany, la manifestazione più importante all’interno del panorama del motorsport studentesco, che ha visto la partecipazione di ben 119 team provenienti da 25 diverse nazioni. Ancora una volta, non si tratta di una semplice gara, ma di un’iniziativa che ha lo scopo di valutare il miglior prototipo da competizione sotto ogni aspetto: sportivo, commerciale, tecnologico ed ecosostenibile. Anche in questa occasione gli studenti dell’Università di Pisa si sono ritrovati ad affrontare numerose prove sia statiche che dinamiche.
La validità del progetto portato avanti dal settore del Business Plan, già apprezzata a Varano dai giudici della Formula SAE Italy, è stata riconfermata in Germania, dove per la seconda volta l’E-Team ha conquistato il primo posto (Business Presentation Event). L’idea che ha portato alla vittoria l’Università di Pisa è stata quella di realizzare un racing video game sui circuiti reali integrando nelle monoposto dei visori per realtà aumentata. Cambiando il modo di vedere l’intrattenimento nel mondo del motorsport e in quello del gaming la squadra si è presentata come “The Next Generation of Motorsport Entertainment”, conquistando il gradino più alto del podio.
Altre soddisfazioni sono poi giunte dalle prove dinamiche, dove pure sono stati conseguiti risultati che testimoniano i continui progressi ottenuti dalla squadra in questi anni e soprattutto in questa stagione. Spiccano tra gli altri un inaspettato 5° posto nella prova di Acceleration (accelerazione di 75 metri su un rettilineo piano), che ha visto l’E-Team superare squadre comunemente ritenute tra le più efficienti.
Su questa scia, anche alla Formula Student Czech Republic, seguita immediatamente alla Formula Student Germany, la squadra corse dell’Università di Pisa ha conquistato un 5° posto nell’Autocross (prova di sprint su due giri di circuito) e il 7° nella classifica generale, superando senza nessun intoppo la prova più temuta tra tutte: l’Endurance (22 km senza poter mai mettere mani sulla macchina).
Kerublast, l’ultimo prototipo realizzato dall’E-Team, si configura quindi come il prodotto di un intenso e proficuo lavoro che ha finalmente mostrato il suo considerevole valore ingegneristico e la sua ingente forza di innovazione!
Con questi risultati si conclude una stagione già ricca di gratificazioni, a cominciare dalla nascita della nuova divisione Driverless. Per la prima volta nella sua storia l’E-Team ha, poi, dimostrato di riuscire non solo a portare a termine ben tre significative competizioni, ma anche di saperlo fare nel migliore dei modi. Su queste basi quindi la squadra corse dell’Università di Pisa si prepara ad affrontare, con ancora più grinta e passione, un nuovo e intenso anno di continua ricerca e impegno, con l’obiettivo di coltivare quel ricco potenziale messo in evidenza dalle vittorie ottenute!

Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.
Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo - almeno così si pensava - che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.

Lo studio, appena pubblicato nella rivista internazionale “Journal of Paleontology”, è stato condotto da Giovanni Bianucci e Alberto Collareta, paleontologi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, oltre a Fabio Pesci e Chiara Tinelli nell’ambito delle loro attività di tesi, rispettivamente di laurea magistrale e di dottorato. La scoperta è stata fatta durante uno scavo paleontologico che ha coinvolto anche la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa e il Gruppo geopaleontologico GAMPS, di cui Simone Casati è presidente. Il fossile è ora esposto nella Galleria dei Cetacei, recentemente rinnovata, del Museo di Storia Naturale di Pisa.

“Mentre sulla biologia dei monodontidi si sa moltissimo – spiega Giovanni Bianucci - grazie alle ricerche che vengono fatte sui beluga e i narvali da scienziati di tutto il mondo, pochissimo si sa sull’evoluzione di questi cetacei perché le testimonianze fossili sono estremamente scarse. Infatti, fino ad oggi si conoscevano soltanto tre specie estinte di monodontidi, ciascuna di essa descritta su un unico cranio fossile. Pertanto il cranio che abbiamo trovato ad Arcille è di straordinaria importanza non solo perché si tratta del primo di monodontide scoperto nell’area Mediterranea, ma anche perché ci ha permesso di descrivere la quarta specie fossile al mondo di questa famiglia”.

“Ma l’importanza scientifica di questa scoperta – continua Bianucci - va oltre la rarità del ritrovamento. L’eccezionalità del reperto sta nel fatto che, apparentemente, questo fossile è stato trovato ‘fuori posto’, cioè in un’area del nostro pianeta dove non ci saremmo mai aspettati di trovarlo. Se oggi i monodontidi non vivono nel Mediterraneo il motivo è molto semplice: le acque sono troppo calde e non adatte per dei cetacei che hanno scelto il Polo Nord come loro “casa” e che non si spingono mai oltre l’oceano glaciale artico. Ma l’aspetto ancora più incredibile è che circa cinque milioni di anni fa il Mediterraneo era addirittura più caldo di adesso, con temperature vicine a quelle tropicali”.

“Che durante il Pliocene inferiore il Mediterraneo fosse un mare caldo si sapeva da tempo - afferma Alberto Collareta – ma altri fossili straordinari che abbiamo trovato nella cava di Arcille supportano il fatto che Casatia thermophila nuotava insieme ad animali marini di acque tropicali, come ad esempio il temibile squalo zambesi (Carcharhinus leucas), il vorace squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e l’enorme marlin (Makaira nigricans)”, tutte forme oggi assenti dal Mediterraneo”.

Durante il monitoraggio della cava di Arcille – aggiunge Chiara Tinelli – abbiamo recuperato anche numerosi scheletri di Sirenii riferiti alla specie fossile Metaxytherium subapenninum, un antenato del dugongo, mammifero marino che abita le acque costiere tropicali”.

“Nel complesso - riprende Collareta - questa comunità fossile è indicativa di un paleoambiente schiettamente tropicale, privo di analoghi nel Mediterraneo attuale. Il rinvenimento di Casatia thermophila all'interno di un simile paleoambiente rappresenta dunque la conferma definitiva che il narvalo e il beluga derivano da forme di mare caldo tropicale. E' probabile che le due specie attuali di monodontidi abbiano evoluto i loro straordinari adattamenti alle acque fredde in tempi geologicamente molto recenti, durante il Quaternario (da circa 2,6 milioni di anni fa ad oggi), quando l'emisfero settentrionale fu interessato da ripetute glaciazioni e da un trend di progressivo irrigidimento climatico”.

“Per me è stata un’esperienza veramente importante e formativa.” – afferma Fabio Pesci - Lo studio morfometrico e l’analisi filogenetica sono stati abbastanza complessi, per uno studente che si cimentava per la prima volta in una ricerca di questo tipo. Ma è stato entusiasmante trovare i dati a supporto del fatto che questo fossile apparteneva ad una specie nuova per la scienza”.

“Le ricerche che abbiamo condotto nella cava di Arcille – conclude Bianucci – ci hanno permesso di scoprire solo una piccola parte dei reperti fossili straordinari che si nascondono nel territorio toscano. Le colline toscane rappresentano, infatti, una delle aree con maggiore concentrazione di fossili di vertebrati marini a livello mondiale. Durante il Pliocene buona parte del territorio toscano era sommerso da un mare popolato da una grande varietà di organismi. I profondi mutamenti geologici e climatici intercorsi da allora hanno rimodellato il territorio, rendendolo una vera ‘miniera a cielo aperto’ ricca di indizi che, se debitamente interpretati, possono svelare molti altri aspetti inattesi della fauna marina del passato”.

The beluga or white whale (Delphinapterus leucas) and the narwhal (Monodon monoceros) are two fascinating cetaceans that live exclusively in the cold Arctic waters, never departing from them, being the only extant relatives of the Monodontidae family. Nowadays, it is impossible to see these whales in the warm Mediterranean waters and even more absurd - so it was thought - that they could have lived in this sea at the beginning of the Pliocene, when the climate of the Mediterranean area was tropical. In turn, it happened. In Arcille, a small village near Grosseto (Tuscany, Italy), in a sand quarry, the fossil skull of a monodontid of about 5 million years ago was discovered. It was named Casatia thermophila. "Casatia" is a tribute to Simone Casati, discoverer of many important fossils of Tuscany (and, in particular, of the Arcille quarry), whereas "thermophila" means "lover of heat", to emphasize that this cetacean lived in tropical waters.

 

 

 

The study, just published in the international Journal of Vertebrate Paleontology, was made by Giovanni Bianucci and Alberto Collareta, paleontologists from the Department of Earth Sciences of the University of Pisa, alongside with Fabio Pesci and Chiara Tinelli, who took part in the study in the framework of their thesis activities , respectively of master's degree and doctorate. The discovery occurred during a paleontological excavation that also involved the Superintendence for the Archaeological Heritage of Tuscany, the Natural History Museum of the University of Pisa, and the GAMPS geopaleontological group (of which Simone Casati is president). The fossil is now exhibited in the recently renovated Cetacean Gallery of the Natural History Museum of Pisa.

"While a great deal is known about monodontid biology - explains Giovanni Bianucci - thanks to the research carried out on living belugas and narwhals by scientists from all over the world, very little is known about the evolution of these cetaceans, because their fossil record is extremely scarce. In fact, until now only three extinct species of monodontids were known, each of them was described on the basis of a single fossil skull. Therefore, the skull that we found in Arcille is of extraordinary importance not only because it is the first of monodontid discovered in the Mediterranean area, but also because it allowed us to describe the fourth fossil species of Monodontidae worldwide ”.

"But the scientific importance of this discovery - continues Bianucci - goes beyond the rarity of the discovery. The exceptional nature of the finding lies in the fact that, apparently, this fossil was found "out of place", i.e. in an area of our planet where we never expected to find it. The reason beyond the absence of monodontids from the present-day Mediterranean is very simple: the waters are too warm and not suitable for cetaceans that have chosen the North Pole as their "home" and that never go beyond the Arctic Ocean. However, the most incredible aspect of this discovery relies in the fact that, about five million years ago, the Mediterranean was even warmer than now, with temperatures close to the tropical ones ”.

"The fact that the Mediterranean was a warm sea during the lower Pliocene has been known for some time - says Alberto Collareta - but other extraordinary fossils that we found in the quarry of Arcille support the hypothesis that Casatia thermophila swam together with marine animals of tropical waters, such as the fearsome Zambesi shark (Carcharhinus leucas), the voracious tiger shark (Galeocerdo cuvier) and the enormous marlin (Makaira nigricans)", all forms now absent from the Mediterranean.

“During monitoring of the Arcille quarry - adds Chiara Tinelli - we also recovered numerous sirenian skeletons referred to the fossil species Metaxytherium subapenninum, an ancestor of the dugong, a marine mammal that inhabits tropical coastal waters ”.

"Overall - Collareta continues - this fossil assemblage is indicative of a frankly tropical paleoenvironment, without analogues in the extant Mediterranean Sea. The discovery of Casatia thermophila within a similar paleoenvironment represents therefore the definitive confirmation that the narwhal and the beluga derive from forms of warm, tropical seas. It is probable that the two extant species of monodontids have evolved their extraordinary adaptations to cold waters in a very recent time, during the Quaternary (from about 2.6 million years ago to today), when the northern hemisphere was affected by repeated glaciations and a trend of progressive climatic degradation".

"Studying the Arcille monodontid was really an important and formative experience for me" - says Fabio Pesci - Morphometric study and phylogenetic analysis were quite complex, at least for a student who experimented himself for the very first time in a research of this type. But it was exciting to find the data to support the fact that this fossil belonged to a monodontid species new to science ".

"The research we conducted in the Arcille quarry - concludes Bianucci - allowed us to discover only a small part of the extraordinary fossil heritage that is hidden in the Tuscan territory. The Tuscan hills represent, in fact, one of the areas with the highest concentration of fossils of marine vertebrates in the world. During the Pliocene, a large part of the Tuscan territory was submerged by a sea populated by a great variety of organisms. The deep geological and climatic changes that have occurred since then have reshaped the

the territory, making it a true "open-air mine" full of clues that, if properly interpreted, can reveal many other unexpected aspects of the marine fauna of the past ".

Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.

Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo - almeno così si pensava - che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.

 

Lo studio, appena pubblicato nella rivista internazionale “Journal of Vertebrate Paleontology”, è stato condotto da Giovanni Bianucci e Alberto Collareta, paleontologi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, oltre a Fabio Pesci e Chiara Tinelli nell’ambito delle loro attività di tesi, rispettivamente di laurea magistrale e di dottorato. La scoperta è stata fatta durante uno scavo paleontologico che ha coinvolto anche la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa e il Gruppo geopaleontologico GAMPS, di cui Simone Casati è presidente. Il fossile è ora esposto nella Galleria dei Cetacei, recentemente rinnovata, del Museo di Storia Naturale di Pisa.

“Mentre sulla biologia dei monodontidi si sa moltissimo – spiega Giovanni Bianucci - grazie alle ricerche che vengono fatte sui beluga e i narvali da scienziati di tutto il mondo, pochissimo si sa sull’evoluzione di questi cetacei perché le testimonianze fossili sono estremamente scarse. Infatti, fino ad oggi si conoscevano soltanto tre specie estinte di monodontidi, ciascuna di essa descritta su un unico cranio fossile. Pertanto il cranio che abbiamo trovato ad Arcille è di straordinaria importanza non solo perché si tratta del primo di monodontide scoperto nell’area Mediterranea, ma anche perché ci ha permesso di descrivere la quarta specie fossile al mondo di questa famiglia”.

“Ma l’importanza scientifica di questa scoperta – continua Bianucci - va oltre la rarità del ritrovamento. L’eccezionalità del reperto sta nel fatto che, apparentemente, questo fossile è stato trovato ‘fuori posto’, cioè in un’area del nostro pianeta dove non ci saremmo mai aspettati di trovarlo. Se oggi i monodontidi non vivono nel Mediterraneo il motivo è molto semplice: le acque sono troppo calde e non adatte per dei cetacei che hanno scelto il Polo Nord come loro “casa” e che non si spingono mai oltre l’oceano glaciale artico. Ma l’aspetto ancora più incredibile è che circa cinque milioni di anni fa il Mediterraneo era addirittura più caldo di adesso, con temperature vicine a quelle tropicali”.

“Che durante il Pliocene inferiore il Mediterraneo fosse un mare caldo si sapeva da tempo - afferma Alberto Collareta – ma altri fossili straordinari che abbiamo trovato nella cava di Arcille supportano il fatto che Casatia thermophila nuotava insieme ad animali marini di acque tropicali, come ad esempio il temibile squalo zambesi (Carcharhinus leucas), il vorace squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e l’enorme marlin (Makaira nigricans)”, tutte forme oggi assenti dal Mediterraneo”.

"Durante il monitoraggio della cava di Arcille – aggiunge Chiara Tinelli – abbiamo recuperato anche numerosi scheletri di Sirenii riferiti alla specie fossile Metaxytherium subapenninum, un antenato del dugongo, mammifero marino che abita le acque costiere tropicali”.

“Nel complesso - riprende Collareta - questa comunità fossile è indicativa di un paleoambiente schiettamente tropicale, privo di analoghi nel Mediterraneo attuale. Il rinvenimento di Casatia thermophila all'interno di un simile paleoambiente rappresenta dunque la conferma definitiva che il narvalo e il beluga derivano da forme di mare caldo tropicale. E' probabile che le due specie attuali di monodontidi abbiano evoluto i loro straordinari adattamenti alle acque fredde in tempi geologicamente molto recenti, durante il Quaternario (da circa 2,6 milioni di anni fa ad oggi), quando l'emisfero settentrionale fu interessato da ripetute glaciazioni e da un trend di progressivo irrigidimento climatico”.

“Per me è stata un’esperienza veramente importante e formativa.” – afferma Fabio Pesci - Lo studio morfometrico e l’analisi filogenetica sono stati abbastanza complessi, per uno studente che si cimentava per la prima volta in una ricerca di questo tipo. Ma è stato entusiasmante trovare i dati a supporto del fatto che questo fossile apparteneva ad una specie nuova per la scienza”.

“Le ricerche che abbiamo condotto nella cava di Arcille – conclude Bianucci – ci hanno permesso di scoprire solo una piccola parte dei reperti fossili straordinari che si nascondono nel territorio toscano. Le colline toscane rappresentano, infatti, una delle aree con maggiore concentrazione di fossili di vertebrati marini a livello mondiale. Durante il Pliocene buona parte del territorio toscano era sommerso da un mare popolato da una grande varietà di organismi. I profondi mutamenti geologici e climatici intercorsi da allora hanno rimodellato il territorio, rendendolo una vera ‘miniera a cielo aperto’ ricca di indizi che, se debitamente interpretati, possono svelare molti altri aspetti inattesi della fauna marina del passato”.

 

Si è conclusa da pochi giorni la stagione delle competizioni dell’E-Team, la squadra corse dell’Università di Pisa che ha mostrato non solo di poter competere con le squadre più forti al mondo, ma anche di poter vincere.

eteam2

È successo alla Formula Student Germany, la manifestazione più importante all’interno del panorama del motorsport studentesco, che ha visto la partecipazione di ben 119 team provenienti da 25 diverse nazioni. Ancora una volta, non si tratta di una semplice gara, ma di un’iniziativa che ha lo scopo di valutare il miglior prototipo da competizione sotto ogni aspetto: sportivo, commerciale, tecnologico ed ecosostenibile. Anche in questa occasione gli studenti dell’Università di Pisa si sono ritrovati ad affrontare numerose prove sia statiche che dinamiche.

La validità del progetto portato avanti dal settore del Business Plan, già apprezzata a Varano dai giudici della Formula SAE Italy, è stata riconfermata in Germania, dove per la seconda volta l’E-Team ha conquistato il primo posto (Business Presentation Event). L’idea che ha portato alla vittoria l’Università di Pisa è stata quella di realizzare un racing video game sui circuiti reali integrando nelle monoposto dei visori per realtà aumentata. Cambiando il modo di vedere l’intrattenimento nel mondo del motorsport e in quello del gaming la squadra si è presentata come “The Next Generation of Motorsport Entertainment”, conquistando il gradino più alto del podio. 
Altre soddisfazioni sono poi giunte dalle prove dinamiche, dove pure sono stati conseguiti risultati che testimoniano i continui progressi ottenuti dalla squadra in questi anni e soprattutto in questa stagione. Spiccano tra gli altri un inaspettato 5° posto nella prova di Acceleration (accelerazione di 75 metri su un rettilineo piano), che ha visto l’E-Team superare squadre comunemente ritenute tra le più efficienti.

eteam5

Su questa scia, anche alla Formula Student Czech Republic, seguita immediatamente alla Formula Student Germany, la squadra corse dell’Università di Pisa ha conquistato un 5° posto nell’Autocross (prova di sprint su due giri di circuito) e il 7° nella classifica generale, superando senza nessun intoppo la prova più temuta tra tutte: l’Endurance (22 km senza poter mai mettere mani sulla macchina).

Kerublast, l’ultimo prototipo realizzato dall’E-Team, si configura quindi come il prodotto di un intenso e proficuo lavoro che ha finalmente mostrato il suo considerevole valore ingegneristico e la sua ingente forza di innovazione!
Con questi risultati si conclude una stagione già ricca di gratificazioni, a cominciare dalla nascita della nuova divisione Driverless. Per la prima volta nella sua storia l’E-Team ha, poi, dimostrato di riuscire non solo a portare a termine ben tre significative competizioni, ma anche di saperlo fare nel migliore dei modi!
Su queste basi quindi la squadra corse dell’Università di Pisa si prepara ad affrontare, con ancora più grinta e passione, un nuovo e intenso anno di continua ricerca e impegno, con l’obiettivo di coltivare quel ricco potenziale messo in evidenza dalle vittorie ottenute!

Lunedì, 26 Agosto 2019 08:00

Diego Ruschena in concerto

Il 31 agosto alle 19:30, in Piazza Dante, si tiene il concerto di musica dal vivo di Diego Ruschena.

L'evento, a ingresso gratuito,  è organizzato dall'Associazione IMATS con il supporto dell'Ateneo per le attività studentesche autogestite (rif. 1932).

Info e contatti: Giorgio Piccitto Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Locandina del concerto: Diego Ruschena

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa