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Nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, a Firenze, venerdì 14 aprile si è svolta la cerimonia di Inaugurazione del 270° anno accademico dell'Accademia dei Georgofili.
Dopo il saluto delle autorità e la relazione del Presidente, il professor Amedeo Alpi, vice presidente dell’Accademia dei Georgofili e presidente della Sezione Centro – Ovest, ha tenuto una prolusione dal titolo “Agricoltura, scienza, innovazioni e comunicazione”.
Nel corso della cerimonia sono stati consegnati i diplomi ai nuovi Accademici Onorari, Emeriti e Ordinari e il riconoscimento al “Merito Georgofilo” e il “Premio Antico Fattore”.

"Si parla e si scrive spesso di agricoltura nel nostro paese e in modi anche molto variegati, finalizzando l'attività nei campi agli obiettivi più diversi, spesso alla gastronomia, talvolta al paesaggio, oppure alle tradizioni locali o al ruolo multifunzionale utile a garantire la sopravvivenza socio-economica di aree rurali ormai spopolate e in crisi. È questa l'agricoltura? Certamente si.
Tuttavia non sarà sfuggito a molte persone, soprattutto con un bagaglio formativo specifico, che questa "narrazione" risulti parziale o, addirittura, manchi di considerazioni globali indispensabili. Pertanto, in questa sede potremmo tentare di colmare la lacuna? Il programma è molto ambizioso, ma possiamo provarci, cominciando da alcuni dati statistici che servono da riferimento insostituibile" 
Amedeo Alpi, già docente e preside della Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa, è stato insignito nel 2004 con l'Ordine del Cherubino 

Leggi il testo intergrale della prolusione


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La mancanza di volontari, questo il tema del convegno "Sentirsi parte. Il volontariato dalla dimensione individuale a quella collettiva" che si è tenuto presso l’Auditorium dell’Innovation Center (Lungarno Soderini 21) il 13 aprile. È un argomento che sta diventando cruciale, non solo per gli enti del terzo settore della nostra regione, ma per la tenuta e la salute dell’intera società. CesvotRegione Toscana e Università di Pisa hanno approfondito la questione mettendo in campo alcune ricerche ed indagini. Per esempio si è cercato di comprendere meglio chi sono, oggi, i potenziali volontari, quale volontariato hanno in mente, come fare ad entrare in relazione con loro e come devono cambiare le organizzazioni per risultare ancora attrattive.

“Questo convegno è l’occasione per confrontarsi sul futuro del volontariato, capire chi sono i potenziali volontari e come intervenire per fare in modo che la loro spinta di cittadinanza attiva e solidarietà non vada dispersa ma possa mettere in circolo nuove energie per l’intera società. Abbiamo creato un’occasione di confronto aperta a tutti unendo il mondo del terzo settore, quello della ricerca e delle istituzioni e ci auguriamo una costruttiva e stimolante partecipazione che possa portare a immaginare e progettare nuove pratiche di partecipazione collettiva” spiega Luigi Paccosipresidente Cesvot.

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Luigi Paccosi, presidente Cesvot.
 
“Quando si dice che il volontariato rappresenta un patrimonio insostituibile, per il Paese e in particolare per la Toscana, che è una delle regioni con il più alto tasso di partecipazione, si rischia forse di non comprendere bene cosa questo significa. Per esempio senza il supporto del volontariato al sistema sociosanitario tanti importanti servizi alla persona non sarebbero possibili, così come senza i circoli o le associazioni di promozione sociale le nostre comunità si svuoterebbero di tante iniziative solidali e occasioni di socialità. Gli esempi potrebbero continuare, dalla cooperazione internazionale fino alle associazioni che si occupano di sport per tutti”. - dichiara l’assessora regionale alle politiche sociali e al terzo settore Serena Spinelli - “Migliaia di volontari e volontarie che dedicano impegno e tempo a prendersi cura, in mille modi diversi, della nostra comunità e di ciò che la circonda. Come Regione vogliamo continuare a valorizzare questo patrimonio, perché il presente e il futuro di una società inclusiva e coesa passa proprio dalla volontà di tanti e tante di sentirsi parte di essa e dalla capacità del settore pubblico, mantenendo il proprio ruolo di programmazione, di attivare sinergie sempre più solide con la straordinaria rete del volontariato e in generale con il vasto mondo del terzo settore”. - conclude l’assessora Serena Spinelli.

La tavola rotonda

Il convegno si è aperto con i saluti istituzionali di Luigi Paccosi, presidente Cesvot, Eugenio Giani, presidente Regione Toscana. In apertura, la relazione di Andrea Salvini, professore di Sociologia generale, Dipartimento di Scienze politiche, Università di Pisa, intitolata “Ripensare il volontariato. Dilemmi e scenari possibili”. Il convegno è proseguito con la tavola rotonda moderata da Elisabetta Soglio, responsabile “Corriere della Sera Buone Notizie” che ha coinvolto Tania Cappadozzi, prima ricercatrice Istat; Adriana Schiedi, professoressa di Pedagogia generale e sociale, Dipartimento Jonico in Sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo, Università di Bari Aldo Moro; Francesco Vasca, professore di Automatica, Dipartimento di Ingegneria, Università del Sannio; Gabriella Punziano, professoressa di Sociologia generale, Dipartimento di Scienze sociali, Università di Napoli Federico II; Riccardo Bonacina, founder and editorial coordinator di “Vita non profit”; Gianluca Mengozzi, portavoce Forum Terzo settore Toscana; Paolo Balli, direttore Cesvot; ha concluso i lavori Serena Spinelli, assessora alle Politiche sociali, Regione Toscana.
 
I numeri della ricerca “La differenza dei potenziali. Come cambia la propensione dei cittadini toscani al volontariato”.
L’occasione di confronto del convegno avviene in occasione della pubblicazione dell’indagine “La differenza dei potenziali. Come cambia la propensione dei cittadini toscani al volontariato” pubblicata da Cesvot e condotta da Andrea Salvini del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Il volume si divide sostanzialmente in due parti. La prima è dedicata interamente alla presentazione dell’indagine e dei suoi risultati. La seconda parte è costituita dai contributi di Riccardo BonacinaRiccardo GuidiGabriella PunzianoAdriana SchiediFrancesco Vasca.

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Il professor Andrea Salvini.

Studiare la propensione al volontariato e le caratteristiche dei “volontari potenziali” diventa rilevante alla luce delle dinamiche di riduzione della quota dei cittadini toscani che dichiarano di svolgere attività di volontariato in organizzazioni: secondo i dati Istat, nel 2007 tale quota era pari all’11,1% sul totale della popolazione, nel 2019 tale quota scende al 10,5% (344mila volontari in organizzazioni) e nel 2021 al 7,9% (258mila volontari in organizzazioni). L’indagine ci aiuta a comprendere essenzialmente il bacino di cittadini che, se opportunamente intercettati e motivati, potrebbero decidere di impegnarsi nel volontariato organizzato, in modo che gli enti del terzo settore siano in grado di porsi e proporsi nei confronti dei nuovi volontari.
 
Ecco in sintesi i principali risultati emersi dall’indagine che ha una popolazione di riferimento costituita dai cittadini toscani compresi tra 18 e 70 anni:
1) la stima della popolazione che svolge attività di volontariato in ets. Si tratta del 10,7% (in valore assoluto, 262.017 cittadini). Si tratta di un dato importante e positivo, perché si allinea al dato Istat del periodo della pandemia;

2) la stima della popolazione che svolge attività di volontariato ma non in ets. Si tratta del 5,9% (in valore assoluto, 144.476 cittadini);

3) la stima dei volontari potenziali. Si tratta del 20,8% della popolazione (in valore assoluto, 510.371 cittadini) Altissima tra i rispondenti disponibili a svolgere volontariato la fascia giovanile dai 18 ai 24 anni che arriva al 36,9%. Le preferenze relative ai settori di intervento sono: assistenza sociale protezione civile (21.9%), cultura,  sport e attività ricreative (21.9%), sanità (15.8%), ambiente (14.5%) e istruzione e la ricerca (11%). 
La percentuale dei volontari potenziali si riduce a 7,1% (173.144 cittadini) se si considerano solo coloro che si dichiarano disponibili “senza condizioni”, e che dunque potrebbero essere “pronti”, se adeguatamente intercettati dalle organizzazioni, a operare in un ets.

4) le condizioni (principali) che non consentono ai volontari potenziali di tradurre la propria disponibilità (potenziale) nella decisione effettiva e concreta di impegnarsi in attività di volontariato in ets. Tali condizioni riguardano la difficile compatibilità con gli impegni familiari (30.5%) e di lavoro (33.7%);

5) l’eventuale preferenza (da parte dei cittadini che non svolgono volontariato) a svolgerlo in ets o in modalità alternative (non organizzate). Il 40% della popolazione toscana, se dovesse decidere in futuro di fare volontariato, lo farebbe in un ets. Il 37%, se dovesse decidere di fare volontariato, lo farebbe in forme non organizzate.

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I volontari potenziali
Cosa chiedono i volontari potenziali? Flessibilità sui tempi (30,8%), innovazione nell’organizzazione e nei progetti (19,3%), valorizzazione delle proprie competenze (19,1%), coinvolgimento nelle attività di informazione su attività e iniziative (15,2%). 

Quello che emerge dalle risposte all’indagine è che oggi fare volontariato è sì un’espressione pragmatica di solidarietà e di utilità sociale che tuttavia deve combinarsi con il benessere personale; il sacrificio è sostituito dalla gratificazione, la dedizione è sostituita dalla discontinuità, cioè dalla necessità di rendere compatibile l’attività di volontariato con le altre attività della propria vita. L’appartenenza si realizza senza “identificazione” nei valori dell’associazione. Infine, la gratuità viene riconsiderata alla luce dei costi che i volontari si assumono nello svolgimento delle attività volontarie, costi di cui sempre più spesso si chiede una qualche forma di compensazione (monetaria o meno). Il volontariato in organizzazione diviene così una modalità tra le molte possibili, di realizzazione identitaria e personale. Le statistiche cominciano a raccontare dell’esistenza di un volontariato diverso più confacente alle sensibilità attuali, quello chiamato “personale” o “fai da te”, e comunque non svolto in organizzazioni e non in ets.

(Fonte: Ufficio Stampa CESVOT).

Già a quattro settimane di vita, le aree del cervello del neonato che presiedono all'analisi della visione del movimento sono mature e simili a quelle dell'adulto. Questo è il risultato straordinario di una ricerca scientifica sull'evoluzione delle aree cerebrali coinvolte nella visione nei neonati appena nati, iniziata 15 anni fa e destinata ad aprire scenari sempre nuovi.

Lo studio, intitolato "Development of BOLD response to motion in human infants" e pubblicato in questi giorni sulla prestigiosa rivista internazionale Journal of Neuroscience, è stato condotto dal team di ricercatrici italiane composto dalle dott.sse Laura Biagi, Michela Tosetti (Laboratorio di fisica medica e risonanza magnetica dell'IRCCS Stella Maris di Pisa), Sofia Allegra Crespi (Dipartimento di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e coordinato dalla professoressa Maria Concetta Morrone (Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell'Università di Pisa).

Lo studio dimostra, abbassando ulteriormente il limite di età di sviluppo di queste aree cerebrali, come a quattro settimane dalla nascita siano già mature e non, come si pensava in precedenza, si sviluppino successivamente grazie alle interazioni che il neonato ha con il mondo esterno.

"Comprendere la parcellizzazione delle aree cerebrali nei neonati e come queste maturino nelle prime settimane di vita ha importanti implicazioni cliniche” - commenta il team di ricerca tutto al femminile - "Ad esempio, può aiutare a prevedere le conseguenze di un danno perinatale e il suo esito, nonché a guidare i medici verso nuovi approcci riabilitativi più specifici ed efficaci se realizzati durante determinate finestre temporali dello sviluppo".

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Il progetto di ricerca
La ricerca ha preso il via nel 2008 e ha prodotto la sua prima pubblicazione nel 2015 su PLOS Biology, dimostrando per la prima volta che le aree cerebrali della visione erano già formate e simili a quelle di una persona adulta già a 7 settimane di vita. Questo primo lavoro ha anche prodotto le prime mappe della funzione corticale visiva dei neonati. Nella presente ricerca, il team ha deciso di estendere i propri studi a neonati ancora più giovani, a partire dalle 4 settimane di età.

Il team di ricercatrici ha utilizzato la Risonanza Magnetica funzionale per registrare l'attività cerebrale dei neonati mentre osservavano stimoli visivi. Una scelta che si è dimostrata di grande rilevanza per la riuscita dello studio, anche se è stata una sfida la gestione di bambini così piccoli, da mantenere svegli, collaborativi e impegnati attivamente nell’osservazione degli stimoli visivi in un ambiente non facile come quello della Risonanza Magnetica. I neonati, rassicurati dalla presenza e dal contatto con la mamma, seguivano con lo sguardo, su uno schermo, dei punti luminosi che si muovevano in modo casuale o in traiettorie coerenti.

I risultati
I risultati dello studio hanno dimostrato che, proprio come negli adulti e nei neonati più grandi, anche i bambini di 4 settimane di età mostrano maggiori risposte al movimento coerente rispetto a quello casuale in un'ampia rete di aree cerebrali, comprese quelle associate alla percezione del corpo e al sistema vestibolare.
Il team ha incluso nella ricerca circa 20 bambini, di cui 12 pubblicati nel primo lavoro e altri 8 soggetti inclusi in questo secondo lavoro con i neonati più piccoli.

Anche in questa nuova avventura le ricercatrici sono riuscite a dimostrare che a questa età molto precoce, le principali aree corticali associative deputate alla percezione del movimento sono delineate e rispondono a stimoli visivi di movimento.

Link a progetto di ricerca:
https://www.jneurosci.org/content/early/2023/03/30/JNEUROSCI.0837-22.2023

 

Fonte: Ufficio Stampa IRCCS Fondazione Stella Maris

Read more: https://www.unipi.it/index.php/english-news/item/25614-eight-students-from-the-university-of-pisa-went-to-brussels-for-the-first-circle-u-model-united-nations-mun

Leggi la notizia: https://www.unipi.it/index.php/news/item/25557-otto-studenti-dell-universita-di-pisa-a-bruxelles-per-il-primo-model-united-nations-mun-di-circle-u

La prima indagine sulla qualità dei funghi medicinali commercializzati in Italia ha rivelato delle criticità sui micoterapici venduti sotto forma di integratori. La notizia arriva da uno studio pubblicato su Nutrients, una delle riviste scientifiche al più importati del settore nutrizione e dietetica, e condotto dalle università di Pisa, Bari, Bologna, Palermo e Torino insieme all’Azienda ospedaliera-universitaria pisana.
La ricerca, condotta nell’arco di un biennio con le più aggiornate tecnologie analitiche, ha posto in luce diverse importanti non conformità nei 19 prodotti analizzati. Alcuni preparati infatti contenevano una specie fungina diversa da quella indicata in etichetta; altri erano contaminati da micotossine con livelli superiori a quelli di legge; in altri casi, micoterapici della stessa tipologia hanno rivelato una concentrazione di principi attivi molto diversa, compromettendo l’efficacia terapeutica dei prodotti.

“La maggior parte dei problemi riscontrati sono riconducibili al fatto che la coltivazione industriale di questi funghi con proprietà farmacologiche avviene in aree geografiche, come ad esempio la Cina, ancora caratterizzate da basso livello di qualità nei processi manifatturieri – spiega la professoressa Cristina Nali dell’Università di Pisa – e tuttavia anche il controllo esercitato dagli importatori europei non appare del tutto efficace”.
“In definitiva – continua Nali - la nostra ricerca ha messo in evidenza la necessità di una regolamentazione internazionale aggiornata e condivisa tra comunità scientifica ed enti di controllo, basata anche su opportuni programmi di monitoraggio della qualità dei materiali reperibili sul mercato. Il tutto al fine di proteggere la salute del consumatore e dare vita a forme di commercio strettamente vigilate”.

“La necessità di maggiori controlli si lega alla sempre maggiore diffusione della ‘micoterapia’ (letteralmente «cura con i funghi») che integra le terapie tradizionali in diversi campi clinici – ha sottolineato Giuseppe Venturella, Presidente della Società Italiana Funghi Medicinali - anche attraverso le collaborazioni con vari gruppi di ricerca universitari, vengano portati avanti studi finalizzati a fornire alle aziende prodotti micoterapici "made in Italy" realizzati attraverso l'attivazione di filiere certificate”

“Seppur i funghi macroscopici siano utilizzati da millenni nelle medicine popolari di vaste aree del pianeta, solo negli ultimi decenni la letteratura scientifica ne ha avvalorato le incredibili proprietà, che includono la stimolazione delle difese immunitarie, le capacità ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti, antipertensive, antimicrobiche, antinfiammatorie, antitumorali, neuro e osteo protettive”, ha detto Filippo Bosco, dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

E sempre su questo tema nel novembre 2022 si è svolto all’Università di Pisa il Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali, l’associazione scientifica costituita da studiosi interessati a promuovere, appunto, la conoscenza, la ricerca e la diffusione dei funghi medicinali, dei loro effetti sulla salute dell’uomo e le applicazioni in campo medico.

“È stato un fertile momento di confronto, dal quale sono emerse alcune priorità, a cominciare dalla esigenza di assicurare un costante e serio monitoraggio della qualità dei formulati micoterapici - conclude Nali - Infatti, la presenza di contaminanti, come metalli pesanti e micotossine, oppure biologici, come microorganismi patogeni, nonché la mancanza di informazioni in merito alla purezza genetica del materiale presente nei formulati commerciali sono tutti fattori preoccupanti connessi con il fatto che la produzione industriale dei microfunghi è concentrata in regioni orientali carenti dal punto di vista della qualità manifatturiera”.

Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio pubblicato su Nutrients è composto da Samuele Risoli, Cristina Nali e Sabrina Sarrocco, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e del Centro Nutrafood dell’Università di Pisa; Arrigo Francesco Giuseppe Cicero, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Alessandro Colletti, Dipartimento di Scienze e Tecnologie del Farmaco, Università degli Studi di Torino; Filippo Bosco, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; Giuseppe Venturella, Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università degli Studi di Palermo; Agata Gadaleta, Maria Letizia Gargano e Ilaria Marcotulli, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari.

Il rapporto tra imprese e diritti umani, come viene esplicitato nei Principi Guida delle Nazioni Unite su Impresa e Diritti Umani, sarà il tema al centro dell’incontro che si terrà giovedì 13 aprile, alle ore 14, al Polo didattico delle Piagge. Relatrice è la professoressa Andrea Shemberg, presidente del Global Business Initiative on Human Rights (GBI) ed esperta di rilievo internazionale su questi argomenti, da anni impegnata a seguire i percorsi delle imprese nell’implementazione dei Principi Guida delle Nazioni Unite.

Il suo seminario, dal titolo “Facilitating firms to implement the UN Guiding Principles on Business and Human Rights: Views from practice”, fa parte della serie “Talks on rebalancing democracy and capitalism” (“Colloqui sul riequilibrio tra democrazia e capitalismo”), organizzata dalla professoressa Elisa Giuliani, direttrice del Responsible Management Research Center (REMARC) e docente del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, in qualità di coordinatrice del progetto Horizon Europe REBALANCE.

I Principi Guida delle Nazioni Unite, adottati nel 2011 e diventati lo standard di riferimento globale in relazione al rapporto tra imprese e diritti umani, sanciscono la responsabilità delle imprese nel rispetto dei diritti umani. Per adempiere a questo dovere, le imprese sono chiamate a dotarsi tanto di politiche quanto di processi adeguati, tra cui fare uso di due diligence per identificare, prevenire e mitigare i propri impatti negativi e per rendere conto di come tali impatti vengono affrontati.

Ma cosa significa esattamente due diligence sui diritti umani? Sebbene il principio operativo di due diligence sia familiare alle imprese come strumento di gestione del rischio, soprattutto di natura finanziaria, un recente studio della Commissione Europea ha rilevato che all’interno dell’Unione Europea solo un’impresa su tre attualmente effettua una due diligence che tiene conto degli impatti sociali e sull’ambiente causati dalle operazioni aziendali.

Nel 2022 la Commissione Europea ha presentato la proposta di una direttiva sulla due diligence d'impresa in materia di sostenibilità, la Corporate Sustainability Due Diligence, che mira a promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile lungo le catene del valore globali, e sulla base della quale le imprese saranno tenute a identificare e, ove necessario, prevenire, porre fine o mitigare gli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull'ambiente. Per le imprese queste nuove norme porteranno certezza del diritto e parità di condizioni. Per i consumatori e gli investitori forniranno maggiore trasparenza.

Durante il seminario, Andrea Shemberg illustrerà l’approccio peer-learning tra imprese portato avanti da GBI. Questo approccio cattura bene l’ambizione del professor John Ruggie, il principale artefice dei Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, di fare della due diligence uno strumento di apprendimento continuo e continuativo per le imprese e, per questo, dai contenuti in continua evoluzione. Nell’ambito del lavoro della professoressa Shemberg, per esempio, l’attenzione tanto ai processi normativi in corso, quanto all’attualità e ai cambiamenti nelle operazioni delle imprese ha condotto recentemente a focalizzarsi su un’area nuova: i processi di due diligence lungo l’intera catena del valore, piuttosto che esclusivamente nella catena di approvvigionamento.

“Concretamente – dice la professoressa Elisa Giuliani - ciò significa interessarsi al rischio in materia di diritti umani legato alla vendita di servizi e prodotti: basti pensare, per esempio, alla vendita di tecnologie digitali usate per fini lesivi delle libertà individuali. Su questi temi, l’approccio di peer learning consente di oltrepassare il problema della opacità delle pratiche delle imprese, nonché della competizione tra esse rispetto alla divulgazione di processi interni e rischi con potenziali impatti in termini reputazionali”.

Andrea Shemberg condividerà la sua esperienza concreta in questo ambito, accennando anche alle difficoltà poste dalle molteplici crisi degli ultimi anni – dalla pandemia alla guerra in Ucraina, alla emergenza climatica. Il seminario offrirà l’occasione di riflettere su come investire in due diligence sui diritti umani e ambientali risponda non soltanto a un dovere etico e giuridico delle imprese, ma anche ad una scelta strategica volta a garantire competitività e sostenibilità nel lungo termine.

Il seminario sarà in lingua inglese e sarà possibile seguirlo anche online. Maggiori informazioni sono disponibili alla pagina: https://rebalanceproject.org/events/facilitating-firms-to-implement-the-un-guiding-principles/

 

Si è concluso ed è stato pubblicato sul sito di ARPAT lo studio relativo alla caratterizzazione del KEU - un residuo di produzione derivante dal trattamento dei fanghi prodotti dagli scarti della concia delle pelli -, svolto nell’ambito della convenzione stipulata tra Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa ed ARPAT.

L’approccio multidisciplinare, coordinato dal Dipartimento di Scienze della Terra, ha visto la partecipazione del gruppo Thermolab del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Ateneo pisano, dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici (ICCOM-CNR) ed il coinvolgimento di Elettra (Trieste) e SESAME (Allan, Giordania) sincrotrone.

 

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 Lo studio ha previsto l’analisi microstrutturale del KEU e lo studio delle sue proprietà di rilascio di cromo esavalente attraverso esperimenti in camere di invecchiamento. Le indagini hanno permesso di definire un possibile scenario sui processi che portano alla ossidazione del Cromo trivalente Cr(III) a Cromo esavalente Cr(VI).

In particolare, l’utilizzo della microscopia elettronica in trasmissione, diffrazione elettronica e analisi chimica su campioni di materiale, attraverso l’impego del microscopio elettronico HR-FEG-TEM del Centro per l'Integrazione della Strumentazione scientifica dell'Università di Pisa (CISUP), ha permesso di identificare le principali fasi responsabili dei fenomeni di ossidazione del cromo.

IGabriella_Fontanini_tv.jpgmportante risultato a Pisa sui nuovi approcci diagnostici molecolari per la diagnosi differenziale del mesotelioma pleurico, una delle neoplasie toraciche più rare e aggressive correlata all’esposizione all’amianto: il gruppo guidato da Gabriella Fontanini (foto), professore ordinario di Anatomia patologica all’Università di Pisa nonché responsabile in Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Aoup) del Programma interdipartimentale di patologia pleuro-polmonare e del Centro clinico toracico, parteciperà infatti, con una comunicazione in sessione plenaria, alla sedicesima conferenza mondiale dell’International Mesothelioma Interest Group (IMIG) a Lille-Francia, dal 26 al 28 giugno prossimi.
La comunicazione, dal titolo “Prospective validation of a gene expression approach for the cytological diagnosis of epithelioid, biphasic mesothelioma and mesothelial hyperplasia”, illustrerà i risultati che hanno condotto alla definizione di un nuovo pannello di espressione genica e di un sistema di classificazione molecolare in grado di discriminare i mesoteliomi dalle lesioni pleuriche benigne, sia su tessuto che su liquido pleurico, con una performance migliore rispetto a quella dei marcatori diagnostici convenzionali.
Lo studio - che verrà presentato dalla dottoressa Rossella Bruno nella sessione dedicata alla diagnosi patologica del mesotelioma pleurico e che vedrà coinvolti alcuni tra i massimi esperti mondiali del settore diagnostico - illustrerà l’efficacia del nuovo pannello (valutato con la tecnologia nCounter NanoString) nella diagnosi citologica su liquido pleurico non solo del mesotelioma pleurico epiteliomorfo (istotipo più frequente) ma anche del bifasico (istotipo meno frequente e di più difficile gestione).
Si tratta di un’importante riconferma per la professoressa Fontanini e i suoi collaboratori (le dottoresse Greta Alì e Rossella Bruno e il dottor Anello Marcello Poma), che hanno partecipato con comunicazioni orali a tutte le ultime conferenze mondiali dell’IMIG: IMIG2016 – Birmingham, Regno Unito; IMIG2018 - Ottawa, Canada; IMIG2020/2021 – Brisbane, Australia.
Da anni, infatti, il gruppo studia gli approcci diagnostici molecolari utili nella difficile diagnosi differenziale tra mesoteliomi pleurici ed iperplasie mesoteliali (lesioni benigne della pleura che spesso accompagnano patologie polmonari di natura infiammatoria). Le effusioni pleuriche sono tra le prime manifestazioni cliniche del mesotelioma e costituiscono spesso l’unico materiale diagnostico disponibile. Il pannello genico sviluppato, dunque, potrebbe consentire di definire più rapidamente, in maniera poco invasiva, un quadro patologico complesso migliorando la gestione dei pazienti, soprattutto nel caso delle lesioni maligne.
Questo progetto ha ricevuto negli anni anche diversi riconoscimenti internazionali: uno Young Investigator Award, conferito nel corso della conferenza mondiale IMIG2016, e due grants conferiti rispettivamente da Nanostring Technology e dalla Kazan McClain Partners’ Foundation.
Fondamentale, per la buona riuscita del progetto, è stata la collaborazione con altri professionisti dell’Aoup tra cui la professoressa Franca Melfi, il professore Marco Lucchi, il dottor Alessandro Ribechini e il dottor Antonio Chella. Attiva collaborazione è stata fornita anche da altri gruppi italiani come quello dell’Unità Mesotelioma dell’Ospedale di Alessandria, guidato dalla dottoressa Federica Grosso. E il gruppo del professore Renato Franco dell’Unità operativa di Anatomia patologica del dipartimento di salute mentale e fisica e medicina preventiva dell’Università della Campania, Luigi Vanvitelli (fonte: ufficio stampa Aoup, edm).

 

La prima indagine sulla qualità dei funghi medicinali commercializzati in Italia ha rivelato delle criticità sui micoterapici venduti sotto forma di integratori. La notizia arriva da uno studio pubblicato su Nutrients, una delle riviste scientifiche al più importati del settore nutrizione e dietetica, e condotto dalle università di Pisa, Bari, Bologna, Palermo e Torino insieme all’Azienda ospedaliera-universitaria pisana.
La ricerca, condotta nell’arco di un biennio con le più aggiornate tecnologie analitiche, ha posto in luce diverse importanti non conformità nei 19 prodotti analizzati. Alcuni preparati infatti contenevano una specie fungina diversa da quella indicata in etichetta; altri erano contaminati da micotossine con livelli superiori a quelli di legge; in altri casi, micoterapici della stessa tipologia hanno rivelato una concentrazione di principi attivi molto diversa, compromettendo l’efficacia terapeutica dei prodotti.

“La maggior parte dei problemi riscontrati sono riconducibili al fatto che la coltivazione industriale di questi funghi con proprietà farmacologiche avviene in aree geografiche, come ad esempio la Cina, ancora caratterizzate da basso livello di qualità nei processi manifatturieri – spiega la professoressa Cristina Nali dell’Università di Pisa – e tuttavia anche il controllo esercitato dagli importatori europei non appare del tutto efficace”.
“In definitiva – continua Nali - la nostra ricerca ha messo in evidenza la necessità di una regolamentazione internazionale aggiornata e condivisa tra comunità scientifica ed enti di controllo, basata anche su opportuni programmi di monitoraggio della qualità dei materiali reperibili sul mercato. Il tutto al fine di proteggere la salute del consumatore e dare vita a forme di commercio strettamente vigilate”.

“La necessità di maggiori controlli si lega alla sempre maggiore diffusione della ‘micoterapia’ (letteralmente «cura con i funghi») che integra le terapie tradizionali in diversi campi clinici – ha sottolineato Giuseppe Venturella, Presidente della Società Italiana Funghi Medicinali - anche attraverso le collaborazioni con vari gruppi di ricerca universitari, vengano portati avanti studi finalizzati a fornire alle aziende prodotti micoterapici "made in Italy" realizzati attraverso l'attivazione di filiere certificate”.

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Foto del Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali (da sinistra verso destra): la Dott.ssa Florencia Abadia (Buenos Aires), l’artista Greg Mancino (autore delle opere utilizzate nelle grafiche del congresso), la Prof.ssa Paola Rossi (Unipv), il Dott. Marco Brancaleoni (Cesena), la Prof.ssa Cristina Nali (Unipi), la Dott.ssa Romina Alessandri (rivista Medicina Integrata), la Prof.ssa Sabrina Sarrocco (Unipi), il Dott. Filippo Bosco (AOUP, Pisa).

“Seppur i funghi macroscopici siano utilizzati da millenni nelle medicine popolari di vaste aree del pianeta, solo negli ultimi decenni la letteratura scientifica ne ha avvalorato le incredibili proprietà, che includono la stimolazione delle difese immunitarie, le capacità ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti, antipertensive, antimicrobiche, antinfiammatorie, antitumorali, neuro e osteo protettive”, ha detto Filippo Bosco, dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

E sempre su questo tema nel novembre 2022 si è svolto all’Università di Pisa il Congresso della Società Italiana Funghi Medicinali, l’associazione scientifica costituita da studiosi interessati a promuovere, appunto, la conoscenza, la ricerca e la diffusione dei funghi medicinali, dei loro effetti sulla salute dell’uomo e le applicazioni in campo medico.

“È stato un fertile momento di confronto, dal quale sono emerse alcune priorità, a cominciare dalla esigenza di assicurare un costante e serio monitoraggio della qualità dei formulati micoterapici - conclude Nali - Infatti, la presenza di contaminanti, come metalli pesanti e micotossine, oppure biologici, come microorganismi patogeni, nonché la mancanza di informazioni in merito alla purezza genetica del materiale presente nei formulati commerciali sono tutti fattori preoccupanti connessi con il fatto che la produzione industriale dei microfunghi è concentrata in regioni orientali carenti dal punto di vista della qualità manifatturiera”.

Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio pubblicato su Nutrients è composto da Samuele Risoli, Cristina Nali e Sabrina Sarrocco, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali e del Centro Nutrafood dell’Università di Pisa; Arrigo Francesco Giuseppe Cicero, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Alessandro Colletti, Dipartimento di Scienze e Tecnologie del Farmaco, Università degli Studi di Torino; Filippo Bosco, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; Giuseppe Venturella, Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università degli Studi di Palermo; Agata Gadaleta, Maria Letizia Gargano e Ilaria Marcotulli, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari.

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